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Dove ci troviamo?

Written by patrizia

Abbiamo deciso di riordinare alcune informazioni sul contesto socio-politico nel quale ci troviamo a lavorare e vivere. Tentare di ricostruire la storia di questo popolo corrisponde all’unica possibilità di comprendere le dinamiche che caratterizzano il tessuto sociale che ci circonda. Non è uno sforzo teso alla giustificazione incondizionata dei fenomeni incontrati -i fenomeni, infatti, non si giustificano, si spiegano-, bensì un dovere per chiunque si trovi a interagire con una realtà che lo ospiti.
Quindi: dove ci troviamo?
Siamo a Luena, la città capoluogo della provincia del Moxico, una regione nell’est dell’Angola che fa frontiera con la Repubblica Democratica del Congo. Il Moxico è una delle province più isolate del Paese che soffre maggiormente la distanza dalla Capitale e in generale dalla costa, da dove arriva -non sempre sufficientemente- la gran parte dei prodotti alimentari e commerciali, tra cui materiale scolastico ed educativo -una sofferenza aggravata dalle infrastrutture decisamente manchevoli o estremamente costose.  In questa regione, ricca di fiumi, di foreste e di terreni coltivabili, dove quindi non dovrebbero mancare acqua e cibo, tuttavia si riscontra una deficienza nella produzione locale sia industriale che alimentare; questo in parte è dovuto allo scarso investimento pubblico nel territorio ma anche a una rimarginazione più sofferta e lunga delle ferite della guerra civile.
In generale, la politica economica angolana, dopo il cambio di passo avvenuto nel 1991 che ha visto il superamento del modello socialista in favore di una completa apertura al libero mercato internazionale, non ha tenuto conto dei contraccolpi che il debole mercato interno della nazione stessa ha poi, di fatto, accusato. Gli enormi e ingombranti investimenti esteri -tra cui cinesi, giapponesi, statunitensi ed europei- hanno sfruttato ampi campi di ricchezza del territorio e del capitale umano angolano e questo, in sostanza, non ha permesso uno sviluppo autonomo e virtuoso del Paese.
L’Angola, infatti, è famosa per i suoi abbondanti giacimenti di diamanti e petrolio, che rendono questo Paese, almeno sulla carta, uno dei più ricchi al mondo, e che ne fanno un terreno economico altamente desiderabile dagli investitori internazionali. Tra il 2004 e il 2014, l’Angola ha conosciuto un rapido sviluppo economico generato, oltre che dalla conclusione della guerra civile, anche dall’aumento del prezzo del petrolio nei mercati internazionali; subito dopo, la nazione ha conosciuto un brusco calo del tasso di benessere. La brevità di questa crescita è stata sancita dalla debolezza di un’economia basata quasi esclusivamente su un solo settore, per di più profondamente influenzato dalle dinamiche politiche ed economiche mondiali. Alla fine dei conti, la risorsa fossile non ha di fatto reso ricco il popolo angolano e la gestione di essa contribuisce all’aumento della disparità nella redistribuzione della ricchezza.
Le classi di potere -politiche, militari, dirigenziali, …- per decenni hanno generato una voragine all’interno della gestione della cosa pubblica e del debito pubblico, facendo schizzare alle stelle il tasso di corruzione. La democrazia angolana si potrebbe definire deficitaria nella misura in cui la presenza di un’opposizione risulta debole e troppo poco incisiva.
Anche questa è una delle manifestazioni degli effetti del barbaro colonialismo che dietro di sé ha lasciato quasi esclusivamente miseria per la popolazione indigena, la quale per secoli è stata deportata dai portoghesi nelle piantagioni brasiliane in condizione di schiavitù. A seguito dell’indipendenza dal Portogallo avvenuta l’11 novembre 1975, in Angola esplose una guerra civile che terminò solo dopo 27 anni, con alcune interruzioni; un conflitto che non solo ha devastato il tessuto sociale del Paese, ma ha anche fiaccato la spinta personale e di rivalsa di molti.   

Il campo di battaglia vide contrapporsi il partito filo-comunista MPLA (Movimento popolare per la liberazione dell’Angola), supportata dall’Unione Sovietica e da Cuba, il cui leader, oltre che primo presidente della Repubblica di Angola, fu il poeta Agostinho Neto, e la principale fazione ribelle UNITA (Unione nazionale per la totale indipendenza dell’Angola), capeggiata dal militare Jonas Malheiros Savimbi e appoggiata dagli Stati Uniti e dal Sudafrica -all’epoca sotto il regime dell’apartheid. Il simbolo della città che ci accoglie è il Monumento da paz, che non solo celebra il suggellamento della pace tra le due fazioni politiche avvenuta nel 2002 -a seguito della morte di Savimbi, 22 febbraio 2002-, ma anche ricorda che il Moxico fu il teatro principale di questa lunga e sfiancante guerra angolana, in quanto roccaforte dell’UNITA. Il popolo di Luena non dimentica: “Il monumento è stato costruito in questa città perché è qui che è iniziata e finita la guerra”.  Dal punto di vista sociale, si osserva che l’etnia maggioritaria nel Moxico è quella kacôkwe, ma non è l’unica; accanto ad essa convivono Luvale, Mbunda, Luctazt e Ovimbundu, con le rispettive tradizioni culturali e linguistiche.
Il gruppo etnico kacôkwe conta circa 1,1 milioni di persone che vivono tra Angola, Repubblica Democratica del Congo e Zambia, e fa parte delle popolazioni Bantu. Originariamente, l’Angola era abitata da etnie non Bantu ma, a seguito di vari flussi migratori, questi popoli furono scacciati e tutt’ora vivono confinati principalmente nel Sud.
Storicamente, il popolo Kacôkwe era uno dei 12 clan che vivevano nell’Impero Lunda; a seguito di una ribellione nel 1887, determinarono il collasso di tale Impero, dando origine al Regno Côkwe – o Lunda-Côkwe, visto che ne assimilarono la cultura. I contatti con i Portoghesi ebbero inizio solo verso il 1930 per ragioni commerciali, ma di fatto i colonizzatori presero in poco tempo il controllo del territorio, decretando la fine del Regno.
La struttura familiare kacôkwe è di tipo matrilineare, la figura simbolo della casa è la madre con la sua famiglia di origine. Questo non significa che sia una famiglia matriarcale, in quanto la figura della donna è subalterna a quella dell’uomo, il quale, di fatto, paga una dote al padre della sposa per contrarre matrimonio, tuttavia la famiglia della donna garantisce a livello culturale l’ereditarietà dei figli. L’istituzione del matrimonio, comunque, non è in generale molto sentita. L’assenza del padre nella famiglia non costituisce scandalo e molto spesso la responsabilità sui figli è demandata al fratello maggiore della madre. Sopravvivono, soprattutto nelle zone rurali, riti di iniziazione e la circoncisione per i ragazzi costituisce una pratica molto comune.
Per quanto riguarda l’aspetto spirituale nella credenza tradizionale, nel Moxico, così come in tutta l’Angola, è presente una forte credenza popolare feticista: architetture interpretative collettive della realtà e dei fenomeni legittimate da logiche magiche. Non è difficile incontrare famiglie distrutte dalla colpa per disgrazie -morti, malattie o incidenti- la quale di volta in volta viene attribuita dal Kimbandeiro (lo stregone) a uno o più componenti della stessa famiglia, a parenti, a vicini o a conoscenti della vittima. Le conseguenze di queste accuse possono essere molto gravi, pericolose e a volte possono portare perfino alla morte. Sebbene nel Moxico non sia riconosciuta una vera e propria categoria stigmatizzata – es. bambini, anziani, albini- in generale vengono colpite le persone più vulnerabili della comunità. Inoltre, esistono diversi riti per liberarsi dalla maledizione a seconda della propria condizione -solo per fare un esempio, nel caso della vedova è necessario che la donna trovi un nuovo partner occasionale per trasmettergli la maledizione mortale di cui lei è portatrice.
È interessante notare il singolare sincretismo che si crea fra tale sostrato di credenze popolari e la religiosità ufficiale del cristianesimo, cattolica e protestante. Il popolo angolano è profondamente credente nella misura in cui non esistono spazi di spiritualità laica e sebbene sia variegato e diviso in tanti credo differenti e tante sette pseudocristiane è impensabile incontrare un uomo o una donna che non si riconosca in nessuno di essi.
Una curiosità: tentando una ricerca toponomastica, scopriamo che in origine il termine Moxico connotava la tipica struttura di legno e foglie appesa alla fronte delle dalle donne del luogo, con la quale, in genere, venivano trasportati materiali, cibo o bambini. Si dice che quando i portoghesi arrivarono in queste terre guardarono incuriositi le bizzarre ceste, fermarono una bellissima donna, le chiesero il nome del curioso oggetto che pesava dalla sua fronte e decisero così di battezzare, da veri coloni, questo strano e variopinto fazzoletto di mondo.

Luena, 30 settembre 2019

Benedetta e Raffaella

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