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Scegliere di donarsi con il Servizio Civile Internazionale

Written by patrizia

Ho scelto di fare servizio civile all’estero per tante motivazioni. È stata una scelta presa dopo un lungo periodo di riflessione, così da prendere questa decisione con sobrietà e consapevolezza.
La principale motivazione è stata sicuramente il voler spendere al meglio il tempo che ho a disposizione, valorizzare il presente, ed ero certa che questo lo si può fare solo nel momento in cui doni quel tempo a chi ne ha bisogno o comunque usarlo per qualcosa o qualcuno che possa arricchirti e nutrirti. E così è stato, grazie alla mia esperienza di Servizio Civile con il VIDES Internazionale in Zambia, a Mansa. Seppure per un breve periodo di nemmeno due mesi, questo tempo ha portato i suoi frutti e continua a portarli oggi dentro di me.
Un’altra delle principali motivazioni era la mia intenzione di volermi sperimentare sul campo, desiderosa di lavorare per la cooperazione internazionale e soprattutto voler spendere i miei talenti, le mie abilità, e i tanti doni che ho ricevuto nella mia vita per chi non ha avuto le mie stesse possibilità, cercare di non tenere per me i miei studi, ma sfruttarli al meglio e cercare di recare benefici a qualcuno attraverso il mio lavoro e il mio operare. Il Servizio Civile rispondeva a tutte queste mie esigenze in maniera perfetta, soprattutto con il progetto educativo che ho scelto con il VIDES. L’idea di essere con le Salesiane di Don Bosco mi dava gioia, perché certa che avrei avuto anche dei momenti di preghiera per attingere da quella magnifica sorgente che è Dio, così da poter donare al meglio agli altri.

Formazione e preparativi pre-partenza

La formazione con il VIDES mi ha tanto aiutato a darmi quel coraggio e soprattutto quella maggiore consapevolezza per partire con maggiore serenità e tranquillità.
È stato fondamentale per me che sarei dovuta partire da sola, condividere con altri volontari le stesse idee e gli stessi pensieri che mi hanno garantito di non essere la sola a voler fare questo salto nel vuoto, ma che anzi ero tanto accompagnata sia da 

loro che sono stati miei compagni di viaggio (seppure in paesi differenti), sia dai formatori che sono stati fantastici e ci hanno preparato alla grande, sia interiormente che nella pratica, attraverso giochi e vari lavoretti da poter fare con i bambini una volta sul campo. Questo ha fatto davvero la differenza quando mi sono ritrovata lì in Zambia con tanti bambini da dover gestire, per questo ringrazio il VIDES e le persone che lavorano al suo interno con dedizione e tanto cuore. Ricordo gli ultimi giorni della formazione, tanta era la tensione, ma allo stesso tempo cresceva la curiosità e la voglia di mettersi in gioco.
L’esperienza di Servizio Civile non è un semplice viaggio da lasciare nei tanti ricordi con altri luoghi visitati, ma è una scelta che parte dal cuore e arriva al cuore degli altri. Può cambiare la prospettiva di una vita intera, può portarti a rivedere le tue priorità e a scegliere quelle in cui riesci a tendere una mano verso chi non vede l’ora di averti vicino, e poi ti accorgi che c’era qualcuno che ti aspettava da sempre e nemmeno lo sapevi.
Ricordo che durante la preparazione delle valigie, ero davvero tanto in ansia, come se stessi per mollare da un momento all’altro, ma ogni volta, grazie soprattutto al sostegno del VIDES, mi rendevo conto che anche se ero da sola come volontaria a partire per la sede di Mansa, in Zambia, in realtà non mi sono mai sentita così tanto accompagnata, anche se non fisicamente, ma con il cuore.
Contenta di condividere il viaggio con altri due volontari che come me partivano per lo Zambia, ma per l’altra sede di Luwingu, ero ormai sicura e decisa sulla scelta fatta.
La partenza per lo Zambia per noi volontari VIDES è avvenuta durante un periodo globale molto delicato, il Covid-19 stava iniziando a diffondersi verso il nord Italia e fortunatamente siamo riusciti a partire in tempo, prima che il virus si diffondesse in tutta Italia. Questo, personalmente, mi ha permesso, a differenza di altri volontari che avevano una partenza posticipata alla mia, di vedere e toccare con mano la bellissima terra che è l’Africa e il suo popolo, anche se per un breve periodo.

Che tutto abbia inizio…

Dopo quasi 13 ore di tragitto in auto dalla capitale Lusaka alla sede del mio progetto di Mansa, ero esausta e stanca, ma credo di non essere mai stata così gioiosa e felice.
Arrivata a Mansa, le suore Salesiane da subito mi hanno accolto con amore e affetto, era come essere a casa.
I primi giorni di assestamento ero un po’ preoccupata, perché ero l’unica volontaria del posto in quel periodo; era difficile integrarsi con le persone locali e adattarsi alla corrente che spesso andava via o alle docce fredde, ma con i piccoli passi possibili, con mitezza, con l’aiuto della preghiera e con il supporto 24h su 24 del VIDES, sono riuscita ad adattarmi in fretta.

Posso dire con certezza, che tutte le ansie e le paure sono svanite del tutto nel momento in cui ho incontrato i ragazzi della scuola di Don Bosco e specialmente, i bambini della scuola primaria dove avrei prestato servizio.
Sono bastati pochi sguardi e qualche sorriso a far scomparire la stanchezza, il senso di solitudine e le preoccupazioni.
Da quel momento è stato tutto un crescere, gli insegnanti locali da subito mi hanno accolto come se facessi da sempre parte del loro corpo docenti, un arricchimento vicendevole costante, sorprese a non finire, tanta gioia e tanta grazia.

 

La scelta del rientro

Ho scelto di rientrare in Italia, dopo solo un mese e mezzo di Servizio Civile in quel posto fantastico.
L’ho scelto facendo un sacrificio enorme e negando a me stessa il proseguire di questa magnifica esperienza, consapevole che sarebbe stato complicato ritornare in un secondo momento in questa terra fantastica che è l’Africa.
L’ho scelto per essere coerente con quelli che sono i miei valori e soprattutto per ciò che mi ha spinto a partire: non l’essere d’aiuto ai bisognosi, come tanti credono, ma perché in fondo quella realtà che ci sembra essere così lontana è anche la nostra realtà! La loro situazione è anche la nostra situazione. Senti come un dovere il cercare di costruire insieme a loro una prospettiva di vita migliore, anche se in realtà siamo noi occidentali a stare tanto peggio, ma interiormente.

Il virus inizia a diffondersi in 33 stati africani, iniziano i primi casi in Zambia e il Governo decide di chiudere le scuole per prevenzione, e io non riesco più a svolgere la mia missione che era prettamente educativa all’interno della scuola.
Dopo una settimana iniziano a sospendere i voli diretti da Addis Abeba per l’Italia, e allora inizio a sentire un po’ di pressione, soprattutto perché il mio stare lì in quel momento non serviva né a me né a nessun’altro, ma anzi sentivo di essere solo d’intralcio in quel momento.
Per dovere morale e proprio per responsabilità civile, in quanto cittadina Italiana ho deciso di rientrare! E questo mi ha fatto riflettere che alle volte si può essere di aiuto anche con la propria assenza, più che con la propria presenza, soprattutto in questo caso. Sentivo di essere ingombrante e invadente, non avendo nessuna qualifica da medico né da infermiera.

Organizzo con il supporto del VIDES il viaggio di rientro. Le tratte: Mansa-Lusaka, Lusaka-Addis Abeba, Addis Abeba-Parigi, Parigi-Roma. Un bel viaggetto.
Iniziamo con la prima tappa, Mansa-Lusaka: viaggio di 13 ore in pullman dal villaggio in cui ero fino alla capitale. Le 13 ore più indimenticabili della mia vita con emozioni miste che mi hanno accompagnata. In primis la tristezza e l’angoscia nel dover lasciare quella terra proprio nel momento in cui mi ero ambientata e avevo iniziato ad assaporare il tutto, paura e tensione nel dover affrontare questo viaggio infinito con questo caro nemico virus Covid-19, stress per le condizioni igieniche davvero scarse sia sul pullman nel quale ero sia nelle toilette disponibili lungo la strada, con serpenti e cavallette annessi.
Nonostante i disagi affrontati dovuti dal fatto che siamo esseri limitati e abituati alle tante comodità occidentali, ero consapevole del fatto che stavo vivendo un qualcosa di unico e autentico.
Finalmente arrivo alla bus station di Lusaka, ed ecco una folla di tassisti sotto al mio finestrino che mi implorano di sceglierli per la tratta che dovevo fare in auto per arrivare all’istituto Salesiano di Lusaka. Ne scelgo uno, il primo che me lo aveva chiesto.
Inizia questa breve tratta in auto di 30 minuti, inizio a parlare con l’autista del nostro caro nemico virus, e della nostra speranza che con l’esempio dei paesi sviluppati in cui più si è diffusa la pandemia, l’Africa ne traesse il meglio, attuando in anticipo le dovute restrizioni per meglio prevenire.
Rimango qualche giorno a Lusaka e mi avvio verso l’aeroporto per la tratta Lusaka-Addis Abeba: subito avvertì l’agitazione e il panico generale per i tanti controlli che ti venivano fatti prima del check-in, misura della temperatura corporea e le hostess che in continuazione ti spruzzavano gel igienizzante alle mani.
Viaggio durato più o meno 4 ore, abbastanza tranquillo.

Arrivo in Etiopia e iniziano altre file interminabili per i ripetuti controlli di sicurezza per il virus.
Intanto io mi guardo attorno e ancora una volta nonostante i tanti disagi, ero sempre consapevole del fatto che stessi vivendo un qualcosa di unico e irripetibile nella storia della mia vita.

Arrivata in Etiopia, sempre a causa dell’emergenza Covid-19, mi verrà cancellato con sole due ore di preavviso il volo da Addis Abeba per Parigi. Così dovrò stare un’altra notte in Etiopia e partire il giorno dopo per Francoforte. E da lì trovare un volo per Roma.
Grazie sempre al supporto del VIDES, siamo riusciti a trovare le coincidenze di tutti questi voli. Parto per Francoforte alle 23 e 55 del 7 aprile, arriverò il giorno dopo alle 6 del mattino a Francoforte, per poi ripartire per Roma alle 15 e 45. Finalmente alle 16 e 30 dell’8 aprile atterro nella mia tanto attesa Italia, a Roma.
È stato così complicato il rientro che una volta arrivata a Roma, saputo che il bagaglio in stiva era stato perso, non ci ho dato il minimo peso. E ho avuto l’intuizione di come alle volte diamo così tanta importanza a cose materiali, e di quanto ci attacchiamo a ciò che in realtà è superfluo e non essenziale.
Appena ho messo piede in Italia, dopo tutte le difficoltà e la tensione avute durante il viaggio, mi bastava solo sapere che era andato tutto bene.
Credo di aver vissuto davvero un qualcosa di indimenticabile, fuori dagli schemi, e soprattutto in tempi e modalità differenti da come mi ero immaginata potesse essere il mio rientro dall’Africa, seppure con tanti disagi e difficoltà soprattutto burocratiche, sono certa che anche questa parte finale della mia esperienza in Africa sia stata davvero significativa, soprattutto in questo particolare periodo storico.
Mai mi sarei aspettata di dover viaggiare dal continente africano, alla Germania, e infine all’Italia con la piena diffusione di una pandemia in corso… la vita è davvero imprevedibile.

Proseguire il servizio civile in Italia

Una volta rientrata in Italia, speravo tanto che la situazione migliorasse per poter ripartire. Purtroppo al momento ci sono ancora troppe variabili per scegliere di ritornare in Zambia e terminare ciò che ho iniziato, e intanto ho scelto di rimodulare il progetto qui nella mia città di residenza, a Napoli.
Questa volta in una struttura per accoglienza migranti; sono comunque contenta di poter terminare il mio servizio civile, è chiaro che sul campo si tratta di una realtà sorprendente e di sicuro più stimolante, ma sono serena all’idea di poter essere di aiuto anche qui nella mia città, con la speranza che la situazione in Zambia possa migliorare ed io ritornare in quel luogo così autentico ed unico.

Antonella Di Pietro

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