Da Flavia Crisafi – Relazione Giordania 2006

25/10/06

Prima di partire avevo tanta paura… paura dell’ignoto, paura di non sapere bene cosa andavo a fare, paura degli altri, delle relazioni che avrei dovuto instaurare e nella mia incapacità di volermi bene, paura di non essere amata e di non saper amare.
Avevo paura anche della guerra, che, appena scoppiata nel vicino Libano, terrorizzava me e i miei familiari.
Avevo letto qualcosa sulla Giordania, in biblioteca non c’era molto e la guida turistica comprata prima di partire mi ha trasmesso l’idea di un paese aperto, occidentale, turistico dove la condizione della donna non era poi così negativa.
Il sorriso delle suore all’aeroporto mi ha fatto capire che ero a casa, che ero al sicuro e che potevo stare tranquilla perché in Giordania non c’era guerra, c’era la pace e io mi sarei trovata bene, e così è stato.
Non ho scelto di andare in Giordania, le circostanze mi ci hanno portato, perché quando vuoi fare volontariato non importa dove vai, è importante sentire il desiderio di incontrare l’altro, di conoscerlo. Non sono partita con la pretesa di aiutare, di cambiare ma di portare con me, al mio ritorno una testimonianza di amore e di fede. E questa l’ho trovata e l’ho sentita. Le suore, tre splendide suore con un cuore grande e meraviglioso, mi hanno aperto la strada del Signore, mi hanno fatto capire che c’è una missione di vita per ognuno di noi e che noi siamo davvero un progetto divino, basta capirlo.
Ho lavorato con loro alle attività dell’oratorio il pomeriggio e la mattina ho insegnato inglese e bambini dai sette ai dieci anni.
E’stato difficile perché io non sapevo l’arabo e loro non sapevano l’inglese. Erano in diciotto, vivaci pieni di entusiasmo ma allo stesso tempo tristi e bisognosi di amore.
Principalmente le suore lavorano con i rifugiati irakeni cristiani che scappati dalla guerra, dalla fame e dalla violenza nel loro paese si sono trasferiti in Giordania. In questi ultimi anni, infatti, la Giordania, sta vivendo una fase di accoglienza di rifugiati dopo quelli palestinesi che ormai integrati nella popolazione sono la maggioranza.
Scappano dal loro paese e vivono la condizione di clandestini senza diritti politici con poche possibilità di sussistenza perché si devono accontentare di lavori precari e di case misere.
Sono cristiani e in quanto cristiani perseguitati. La religione come senso identitario del proprio sé diventa un pericolo, eppure allo stesso tempo, una forza per sopravvivere e credere ancora nel futuro.
La suore alimentano la fede di chi viene nelle loro case, danno parola, forniscono le persone di fiducia e speranza facendo sentire ogni uomo e ogni bambino l’essere più prezioso e meravigliso che ci sia sulla terra, rendendo possibile l’amore di Dio e la sua presenza in ogni piccola cosa, in ogni momento.
C’è Don Bosco nelle loro attività e c’è gioia nei loro giochi.
Ho visitato delle case, sono andata con loro a trovare delle famiglie, che nella loro miseria, riescono ad essere accoglienti e aperti all’altro. Colpisce la grande fede che non è solo visibile perché ai muri sono appese le immagini sacre ma perché è palpabile è percepibile nei gesti.
Abbiamo individuato 5 bambini di cui poter avviare il sostegno a distanza. Questi bimbi hanno bisogno di aiuti per poter mangiare, vestirsi e andare a scuola poiché nella grande Amman di 1,8 milioni di abitanti c’è anche il rischio che questi rifugiati non siano accolti nelle scuole governative e quindi non imparino a leggere e a scrivere.
Ho conosciuto gli animatori dei ragazzi cristiani, alcuni giordani di origine irakena o palestinese. Sono dei volontari che dedicano il loro tempo libero a questi bambini e allo stesso tempo stanno insieme e crescono nella fede trovando anche loro nelle parole delle suore il loro alimento, e il pane per credere davvero in un mondo diverso. Ho parlato con alcuni di loro della guerra, della situazione in Medio Oriente. La storia di questa terra è travagliata e difficile da comprendere: sinceramente dovrei di più studiare ed aggiornarmi per poterne parlare con più coscienza e consapevolezza. Ciò che ho capito è che si percepisce un odio e un attaccamento profondissimo a questa terra piena di conflitti e di contraddizioni eppure bellissima, dal cielo sempre azzurro e dal deserto incantevole e misterioso.
Le suore, che sono libanesi, hanno vissuto i giorni della guerra con tanta speranza e fiducia nel Signore. Ogni giorno ascoltavamo il telegiornale, ogni giorno ci si rendeva conto che la situazione nel loro paese non era facile eppure continuavano nel loro lavoro, non perché vi era sempre il senso del dovere a renderle così attive ma una forza più grande che permetteva loro di superare tutte le preoccupazioni e di credere che tutto aveva un senso e che prima o poi la guerra sarebbe finita e ci sarebbe stata la pace.
Mi hanno raccontato della condizione della donna nei paesi arabi, una donna che in molti casi non ha diritti, che non può studiare, lavorare. Il velo colpisce la loro dignità, è il senso di inferiorità che si manifesta nella famiglia, nei rapporti tra uomo e donna. L’opera delle suore è volta ad insegnare e a dare identità religiosa al fine di rendere forti le persone in una cultura e in una società che sta perdendo le sue tradizioni.
I bambini sono forti e coraggiosi, non piangono mai neanche quando cadono e si fanno male. Hanno spesso gli sguardi tristi, ma questa tristezza è cancellata, scompare quando solcano la porta della casa salesiana perché si sentono accolti, protetti, possono giocare.
Mi sono avvicinata a loro pian piano conquistando la loro fiducia nei giorni perché sono bimbi che chiedono e danno poche manifestazioni fisiche di affetto ma danno e chiedono rispetto…
L’andare in Giordania mi ha fatto pensare a l’importanza di imparare ad essere principi di se stessi nel cercare una coerenza nel proprio modo di agire, pensare ed essere, a cercare la motivazione nella nostra esistenza, nella missione che il Signore ci ha voluto assegnare. Siamo piccoli ma allo stesso tempo grandi e conoscere questi bambini, i loro genitori, gli animatori, le suore ha rafforzato in me il desiderio di trasmettere conoscenza, di raccontare cosa accade, di trasmettere informazione ed esperienza a chi mi circonda e in particolare ai miei allievi.