Risonanze da Rossi Gino – MESSICO – Tuxtla

gino

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28/02/06

…Torno a scrivere dopo un po’ di assenza “virtuale”, assenza dovuta al fatto che non è facile abbandonare i ragazzi della casa per andare nel centro in cerca di un cyber café e poi scrivere, e leggere le risposte di amici, parenti, conoscenti ecc. Non è facile perché preferisco passare un’ora di più con i ragazzi che mezz’ora a rispondere alla mamma premurosa o agli amici curiosi. Nella casa sì che sanno come divertirsi e rendono le mie giornate talmente intense e piene di gioia che a volte di sera non so se ho la febbre o se sono talmente stanco da rasentare le malattia, ma sono contento perché insieme stiamo crescendo e costruiamo qualcosa che resterà marcato nel futuro e nella memoria di tutti. Come ti accennavo già nella precedente e-mail, la vita qui è totalmente diversa da quello che ci si possa aspettare. La giornata tipo inizia la mattina alle 7 e 30 circa quando i ragazzi cominciano con i loro lavoretti domestici da fare entro le 8 e 30 e così, divisi in squadre e a rotazione, lavano camerate e bagni, puliscono il campo da basket che si riempie di foglie, spazzano la “avenida central” della casa e da poco c’è anche la squadra della lavatrice, che mette a lavare coperte, lenzuola e roba da vestire che per venire pulita necessiterebbe di essere bagnata con la benzina e poi accesa.
Nel frattempo seguono incessanti i lavori nella casa de serro di S. Fernando (casa Dom Bosco) dove quasi tutti i giorni c’è la gara del marro, una competizione sportiva che mi ha visto vincitore nella edizione di sabato passato doppiando quasi il secondo classificato, e distaccando il Padre di 8 punti. Questa insolita gara sportiva funziona così: nella mattina una squadra di ragazzi rompe la pietra alla base di quella che diventerà la nuova cappella di Dom Bosco (stanno scavando una buca abbastanza profonda e larga), tirando fuori enormi pietre delle quali la più piccola pesa un quintale. Una volta tirate fuori dal buco abbastanza pietre inizia la gara: si impugna il marro (un martello gigante) e colpendo le pietre con estrema violenza bisogna romperle in pezzi di 5-10 kilogrammi. Naturalmente vince chi in 10 minuti rompe più pietre e ogni frammento vale un punto, le pietre rotte vanno poi a formare una montagnola a forma di cono nella cima della quale costruiremo una bella croce in cemento in maniera che si veda anche dalle montagne vicine e dai villaggi limitrofi. Oltre a rompere le pietre seguono i lavori di ampliamento della casa che cresce di giorno in giorno, ed è formidabile vedere i ragazzi che con il loro modo di fare molto approssimativo si cimentano muratori o progettisti dando vita alle forme architettoniche più precarie e insolite mai viste. Io mi sto personalmente occupando di fare lo scheletro dell’armatura in ferro con il Padre oltre a quello che è l’ impianto elettrico della casa (naturalmente a batteria, perché la corrente manca del tutto, come l’acqua diretta), così ho realizzato il tutto servendomi di batterie e lampadine per automobili. Il padre poi ogni volta che di mattina presto va con la sua moto a portare alimenti ne prende una e la mette a ricaricare nella casa di Tuxtla, in maniera che ci sia sempre luce nella casa Dom Bosco.


Nella casa principale invece hanno ultimato i lavori di costruzione della piscina. Chiamata piscina, altro non è che una cisterna per l’irrigazione riempita con acqua di pozzo ma i ragazzi la osannano e la adorano, perché tra il bagnarsi in una cisterna di acqua stagnante o nella canaletta del drenaggio della fognatura la differenza è abissale. Devo dire però che anche se l’acqua della cisterna viene definita pulita, ha sempre quel colore verde-grigio che poi diventa marrone e puzza di pesce morto, ma oltre a fare un po’ schifo non fa male alla salute, perché di tutti quelli che si sono bagnati lì non è morto nessuno e tanto meno io. Sono stato anche incaricato di costruire la nuova scala di entrata e uscita per la cisterna. La farò in ferro, che resiste di più alla foga distruttrice dei bambini e per molti più anni rispetto al cemento, ma chissà quando lo comprerà il Padre! (Credo alla prossima benedizione di Virgen).

Una novità nefasta è che sono caduto da cavallo la settimana passata, ma per fortuna ne sono uscito illeso e se non con qualche graffio e qualche acciacco…Fortunatamente non c’erano pietre nel campo, che di sicuro mi avrebbero fatto molto male ed ho deciso allora di non montare più su quel cavallo da corsa che la signora del patronato gentilmente mi prestava per salire sulla montagna, a dire la verità per ora non voglio più sentire parlare di cavalli anche se mi dispiace per la doña che ora non ha più chi glielo monta, oltre a sentirsi terribilmente in colpa per me.
Che altro dire se non che qui mi sento come a casa e che vengo considerato uno della famiglia, al pari del Padre e al pari di tutti i ragazzi. Uguale a chi rappresenta Dio come a chi già è stato diverse volte in galera o ha rubato, o si droga/drogava ecc. Perché siamo tutti fratelli e questo non lo dico io, lo ha detto Gesù 2000 anni fa e su questi ideali di vita si va avanti alla grande, costruendo un mondo migliore e godendo della vita attimo dopo attimo, donando amore e ricevendo gioia e sorrisi. E un sorriso vale più di mille parole (anche questo non lo ho detto io, però non mi ricordo chi) e quando è un sorriso di un bambino vale di più, ancora di più se te lo regala uno di quei bambini che hanno sofferto molto, abituati alla violenza e senza aver mai avuto nulla nella vita. È bello far parte di questa famiglia che si basa su valori dei quali si sta ormai perdendo il significato nella maggior parte del mondo civilizzato. È altrettanto bello vivere con gente che si vuole bene al di là dell’aspetto, delle parole e delle differenze culturali, sociali e fisiche. Sono giunto al “giro di boa”, e alla metà del mio servizio civile penso che una casa migliore di questa non mi poteva capitare perché non esiste, penso anche che le circostanze non nascono sole ma si creano dall’unione dei sentimenti e delle armonie di un gruppo. Sono onorato e felicissimo di vivere con Padre Renato Rondolini perché lui dedica la sua vita ai ragazzi, e condividere questi momenti con lui è fantastico.
Saluti e alla prossima!

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10/02/06

Qui prosegue sempre tutto bene… in questi ultimi dieci giorni ho lavorato molto facendo la base di cemento per il tanke del gas che ci hanno regalato e scaricando camions di acqua, farina, riso, fagioli e zucchero (finalmente arriva qualcosa anche a noi!). L’ altro ieri ho poi giocato mezzo pomeriggio a pallone coi ragazzi e mi sono accorto che anche io sto invecchiando…
Ieri sono stato a casa di una delle doñas delle case del padre che ha un cavallo da corsa ma nessuno lo monta perché i suoi familiari hanno tutti paura. Io l’ho fatto un po’ per sfida, un po’ perché mi piacciono i cavalli e mi ha veramente spaccato la schiena. Non ero mai stato su un cavallo così forte e ribelle, abituato solo a correre e scalciare. Bellissimo!
Un abbraccio da Tuxtla

 

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06/02/06

…Scrivo l’ aggiornamento sulla festa di Don Bosco e racconto come ho passato questi ultimi giorni con il padre e i ragazzi. Il Padre ha deciso di farci passare questo giorno di festa nella nuova struttura che stiamo costruendo nella montagna di San Fernando e che prende proprio il nome dal giorno nel quale è stata fatta l’inaugurazione: Casa Dom Bosco. Le particolarità di questa casa sono due: non c’è assolutamente nulla nelle vicinanze per almeno un raggio di 5 km dove si incontra il primo paesino di quasi 1.000 abitanti, non c’è né luce né acqua diretta (stiamo scavando il pozzo) e nessuna forma di vita se non asini, qualche vacca e avvoltoi che popolano il cielo aspettando che qualche animale muoia. La seconda caratteristica è data dal fatto che questa casette che formano la casa Dom Bosco sono state completamente progettate e costruite dai ragazzi della casa “Manos Amigas” di Tuxtla, e il ragazzo che il padre ha incaricato come ingegnere è analfabeta. Il risultato è eccezionale, le casette sono fatte tutte il legno con solo la base in cemento e la casetta “principale” è invece fatta di cemento armato e qualche pietra (però senza la base in cemento ma con il pavimento di terra battuta e polverosissima). Tutte con il tetto rigorosamente in lamiera e travetti di legno. La notte fa abbastanza freddo e il clima è quello tipico della montagna messicana: vento forte e perenne e sole che brucia di giorno per poi scendere a 18 gradi nella notte sempre con vento ululante. Per ora ci vivono solo tre ragazzi, perché fino ad adesso sono state costruite solo tre casette di circa 10 mq quindi “singole” e non ne verranno costruite più finché non sarà finito il buco nella roccia vulcanica (anche questo fatto a mano) che ospiterà la cripta della cappella. È un lavoro molto duro e lento, ma procede come tutto qui al ritmo messicano.
Insomma si lavora e si fatica molto tra le montagne del Chiapas e lo si fa per tutti. Per il futuro di chi una casa non ce l’ha mai avuta ma soprattutto per assicurare ai bambini un avvenire migliore e lontano dalla strada nella quale sono nati e cresciuti fino al giorno in cui hanno incontrato Padre Renato. Nella festa c’erano parecchie persone e tra le più importanti c’erano la doña Colomba che ha regalato al padre parte del terreno dove ora stiamo costruendo, la doña Coti che è la proprietaria della casa “Manos Amigas” e altre persone dell’alta aristocrazia chiapaneca. Io stavo dormendo lì con gli indios locali già da due giorni, per preparare tutto per la grande festa dell’amico dei ragazzi ma vado e vengo in continuazione per terminare di costruire le casette. La mattina alle 9 – 9.30 sono arrivati tutti e si è celebrata la messa di inaugurazione all’aria aperta, nonostante il sole ustionante e il venticello pungente. Appena finito mi sono improvvisato fuochista e abbiamo cominciato a fare carne asada su una placca di ferro posta sopra la brace, banane tostate e uova e peperoncini sempre alla piastra. Si respirava aria di campagna e di libertà, con i bambini che giocavano a tirare i sassi nella grande distesa di terra e arbusti che si trova in fronte della casa, i più grandicelli che si davano da fare per tagliare legna, sistemare le panche e guardare gli aeroplani passare (questa cosa li incanta).
La festa è passata così, e quando nel pomeriggio tutti sono ritornati nelle proprie case, sono rimasto solo nella montagna con due ragazzi indigeni, amici del padre. Ho fatto un po’ di pulizia e data una riordinata; mi sono dondolato sull’ amaca per una mezz’ oretta, poi ci siamo incamminati tutti e tre verso la strada che porta al paese, e in meno di un paio di ore siamo arrivati ad una fermata degli autobus. Montati a bordo siamo crollati dal sonno e quando ho riaperto gli occhi già stavo nella calda Tuxtla, a 8 quadras di distanza dalla casa, e così è finita la mia intensa giornata dedicata a Don Bosco.
¡Hasta pronto!

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17/01/06

Queste sono alcune foto del laboratorio di carpenteria che ho allestito con l’aiuto di Padre Renato e nel quale da qualche giorno lavora con me anche Fabien, un volontario tedesco che vive nella casa. C’è anche qualche foto della sala dove mangiamo, nella quale si notano alcuni dei tavoli e delle panche finiti e pitturati, si vede anche sullo sfondo un frigorifero industriale che ci regalarono rotto, ma io con le mie mani magiche l’ho riparato in 1 giorno (per questo sono ancora più figo!). Ho riparato anche una lavatrice che era ridotta ad un rottame ed ora funziona alla grande, lavare i panni per i bimbi non è mai stato così divertente ed anche il padre che è contro la tecnologia si è innamorato subito di questa macchina che lava da sola, mentre lui può continuare a zappettare l’orticello. Insomma mi do da fare e sono felice di arrivare alla sera stanco morto per ricominciare il giorno dopo sempre meglio di quello precedente, crescendo con i ragazzi della casa e vivendo la mia vita con loro. Sono anche sicuro che lascerò questo posto meglio di come lo ho trovato, anche perché già ora si nota il cambiamento rispetto a quando ero arrivato. Sono felice di questo e sono ancora più felice di servire questa grande famiglia che (detto tra noi) se la passa veramente male.
Ci sono anche due foto di padre Renato: rarissime perché lui odia essere fotografato come odia la notorietà e anche se la maggior parte dei salesiani maschi qui in Messico lo considera un mito, lui evita sempre di apparire in pubblico, se non quando è necessario come nelle messe o per benedire madonne (è molto gettonato!). È lui che con queste cose produce la maggior parte del finanziamento per la casa, che è completamente autogestita dai ragazzi più grandi per quanto riguarda l’ organizzazione delle attività e la pulizia, ma lavoricchiano anche portando soldi per mangiare e comprare quello che serve. I piccoli non troveranno mai lavoro fuori e qualcuno va a chiedere l’elemosina nei punti turistici (anche se è assolutamente vietato dal padre) o ai semafori, la metà va a scuola, l’altra metà non può perché non li fanno entrare in quanto vanno troppo sporchi o rubano ai compagni e agli insegnanti, o si drogano o si drogavano (e qui i pregiudizi e la discriminazione sono fortissimi). Alcuni sono vestiti benissimo e hanno soldi di dubbia provenienza, comunque in linea di massima tutto è ripartito equamente tra tutti, e siamo tutti nella stessa barca. Risultato: tutti i ragazzi che vivono per strada e che vengono cacciati via per la loro indisciplina dagli albergues trovano rifugio in una delle case di padre Renato. Tuttora sono una ventina di case in 6 posti differenti, ma il numero sale perché sono proprio i ragazzi che aumentando di numero ne costruiscono altre e il padre compra e acquisisce (o glieli regalano) terreni in mezzo alle montagne per mandarli a vivere li e “purificarli”, tramite la vita di una volta, da quello che è l’inquinamento umano da metropoli moderna, che porta inevitabilmente alla vita da sbandato e di banda.
Stiamo bene tutti insieme in questa grande famiglia e mi sento parte di loro: ormai sono più che adattato a questa vita e ora capisco perfettamente il significato di parole come emarginazione, disperazione e fame, infatti non sono pochi quelli che vengono a chiedere qualcosa da mangiare a tutte le ore del giorno e della notte: gente di strada che non si nutre da giorni e non sa veramente come fare. Il padre li fa abbuffare e via, ognuno scompare nella stessa stradina di terra dalla quale è venuto, per tornare magari dopo una settimana, o un mese, o speriamo mai più.


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30/12/05

A voi tutti auguro un felice 2006 pieno di gioia e felicità!
Saluti dal caldo Chiapas dal più figo degli operatori SCI.

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01/11/05

Ciao a tutti,
Oggi é il 20esimo giorno che passo qui nell’ albergue, e si può dire che oramai mi sono ambientato più che bene, ho preso il via e non mi pesa più alzarmi la mattina alle 5-5,30 per andare a dormire alle 9 massimo 10 di sera. Mi fa un effetto strano pensare che nei miei fine settimana Italiani andavo a riposare quando di solito qui suona il campanello della sveglia, ma non si potrebbe fare altrimenti: le giornate sono talmente intense e piene di attività che appena finito di cenare, messi a letto i bambini più “forastici” e lavati i piatti tutti subiamo un crollo improvviso che ci lascia giusto le energie per trascinare le nostre stanche membra nelle rispettive stanze da letto. Sto imparando abbastanza bene l’ idioma mexicano, che è differente dallo spagnolo vero e proprio sia per pronuncia che per accenti, alcuni vocaboli hanno un significato totalmente diverso: è come imparare il sardo o il siciliano e dire che si parla Italiano. Alcuni dei bambini qui parlano Soke, una lingua indios tipica della zona di Ocotepec, ma parlano con gli altri bimbi in spagnolo, altrimenti non si capirebbero.
Mi sto sforzando di apprendere a parlare se non altro correttamente ma è difficile perché i bambini si sa, parlano uno slang locale troncando alcune parole e impastandone altre.
Comunque sto migliorando e se quando si rivolgono a me non parlano bene (consiglio delle suore) dico che non li capisco, almeno si trovano costretti a praticare la loro lingua correttamente.
Il resto è tutto ok, ci stiamo preparando per domani: el dia de los muertos, festa nazionale e oggi le scuole erano tutte chiuse.
Soffro ancora molto il caldo anche se con questa storia degli uragani la temperatura è scesa un pochetto ma il problema principale non è quello, bensì los mosquitos: zanzare di varie misure che nel migliore dei casi ti lasciano un buchino sanguinante, ma spesso le loro punture sono molto dolorose e lasciano lividi che restano per almeno una settimana. I repellenti non servono perché questi insetti sono dotati di maschera antigas e quindi non li sentono proprio; l’unica soluzione é quella di indossare pantaloni lunghi e magliette a maniche lunghe (soffrendo ancora di più il caldo), così gli si rende la vita difficile. Per ora vi saluto, e vi comunico che sto tenendo un blog a m0’ di diario quasi giornaliero, nel quale scrivo le mie esperienze e quello che succede in questa città dove tutti avrebbero voglia di fare, ma purtroppo non ci sono i mezzi. Se mi dovete dire qualcosa fatelo via email o messenger o skype o ancora meglio lasciatemi un commento sul blog (ci sono anche le foto), che mi fa piacere sentirvi ogni tanto.
Messenger: ginonema@hotmail.com
Skype: ginonema
Blog: http://ginonema.blogspot.com
Per ora tanti saluti, devo scappare a riprendere i bambini!!

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Ciao a Tutti,
Scusatemi se non vi ho scritto prima, ma ero letteralmente impossibilitato nel farlo.
Sono arrivato in Messico la settimana scorsa, e dopo essere stato un giorno e mezzo a Città del Messico mi sono reso conto perfettamente di quello a cui sarei andato incontro. La capitale è infatti un immenso agglomerato di case che conta una trentina di milioni di abitanti registrati.
La prima cosa che giunge all’occhio dopo essere usciti dall’aeroporto è la povertà che accomuna quasi tutte le persone. Non esiste chi sta meglio o chi sta peggio, hanno tutti (tranne pochi ricchissimi) una fame nera che li spinge a fare di tutto per sopravvivere, per esempio si possono incontrare per strada bambini e signore che tentano di vendere di tutto, come chewing-gum o sigarette, vestiti e soprattutto cibo tipico del posto cotto li per lì… È incredibile la quantità di taxi che si aggirano per la città e costano anche poco, rispetto alla metropolitana per la quale bisogna fare un ticket per ogni viaggio.
Mi incammino la sera, scortato da alcune suore, verso la stazione dei pullman internazionali per cercare il mio, diretto a Tuxtla Gutièrrez, la capitale del Chiapas.
Durante il lungo viaggio notturno in autobus (circa 17 ore) ho potuto notare come i Messicani abbiano uno spirito totalmente differente dal nostro: sono sempre pronti ad aiutarsi a vicenda…
Giunti a destinazione ho preso posto in quella che sarà la mia futura casa per 10 mesi e girando per le vie li intorno mi sono accorto che la povertà vista finora non era nulla in confronto a quello che avevo sotto gli occhi.
La città tuttavia è simpatica, sono quasi tutti sorridenti…
I bambini della casa vengono proprio da questa realtà; alcuni di loro sono stati abbandonati dai genitori appena nati, altri portati qui da famiglie o madri che non hanno da mangiare neanche per loro e altri vengono portati dai genitori che non sanno dove tenerli, perché magari non hanno una casa.
Tra di loro spicca un elevato senso di responsabilità e anche se alti meno di un metro lavorano tutti, pulendo le camerate, facendo il bucato e provvedendo da soli a tutti i loro bisogni primari. Sono divisi in squadre e ogni squadra ha il proprio compito, così c’è chi lava, chi fa i piatti, chi il bucato collettivo e chi spazza il piazzale, e la casa è (quasi) sempre in ordine.
Qui si mangiano frijoles y tortillas (fagioli e tortillas di mais) tutti i giorni a colazione, pranzo e cena, in tutte le variazioni possibili: fritti, triturati, arrotolati nelle torillas, zuppa di tortillas fritte in succo di pomodoro e acqua, tacos(tipo kebab di soli fagioli e peperoncino) più quello che viene donato alla casa: oggi avevamo anche un pòdi pollo (un pezzo grande come un dito cadauno) e l’altro giorno dei dolci tipo ciambelle…
Ogni bambino, tornato da scuola, si fa il bucato “personale” da solo, perché quasi tutti qui hanno un solo cambio: 1 maglietta, 1 pantaloncino e una mutandina più quello che portano indosso.
Per andare in giro il miglior mezzo sono i “collettivi”, dei furgoni adibiti a taxi con due o tre panche all’interno: sali su appena ne incontri uno, paghi 4 pesos (30 eurocent) e scendi dove ti risulta più comodo. Sono divisi in “rote”, ad esempio io per venire qui ho preso la rota 1.
La rota 25 va in centro-est e la 74 centro-ovest. È facile, e se avessimo anche noi a Roma questo sistema, chi la prenderebbe più la metro! Oltretutto se ne prendi uno con un autista giovane, hai il piacere di passare quei dieci minuti ascoltando musica…
Ora devo scappare, si sta avvicinando l’ora di cena e poi qui è poco saggio camminare in strada la sera da soli. Scriverò qualcosa di nuovo appena possibile, qui gli avvenimenti sono tantissimi e mi ci vorrebbe una settimana solo per scriverli tutti!
E ntonze (quindi) Saluti.