Da Angela, volontaria nel Costa Rica

07/10/08

Mi trovo sull’autobus per Panama e guardando fuori dal finestrino penso che è da un mese esatto che mi trovo in Costa Rica e sembra che sia passato un secolo.

Guardo fuori, vedo i colori, sento gli odori… E penso alla fortuna che ho nell’incontrare sempre le persone migliori o, meglio, riuscire a scoprire negli altri la parte migliore e nel frattempo arricchirmi giornalmente degli altri.
Sono partita il 20 agosto da Roma alla volta di San Josè dove mi aspettava la simpaticissima Sr Mayela, la responsabile del VIDES Centro America, che mi sta guidando in questo cammino che è appena iniziato e con la quale ho instaurato un buon rapporto di intesa, di condivisione e di discussione che mi accompagna ad avvicinarmi ad una nuova forma di maturità.
Il viaggio? Lungo ma pieno di riflessioni, di aspettative, di timori. Mi trovo adesso nella Casa Provincial di San Josè e opero in un quartiere povero della città, Miravalles, organizzando attività ricreative per bambini e attività sportive per donne e ragazze e con i volontari locali stiamo organizzando la mia presenza anche a Talamanca, una zona nella provincia di Limòn, dove il VIDES lavora con gli indigeni e dove due settimane fa abbiamo organizzato un campo di volontariato con il tema “I giovani in difesa della vita e della sua cultura” incentrato sulle tematiche dei beni comuni, della pace e dei diritti umani.
Che dire della mia vita qui, alle suore della Casa Provincial sono particolarmente affezionata e il loro rispetto nei miei confronti, la loro tenerezza e sincerità mi fa vivere giornalmente momenti di gioia, di quella gioia che da molto spazio alla mia irrazionalità la quale rapportata alla realtà significa voglia di dare e di abbracciare tutto quello che mi circonda. In poche parole, qui mi sento come se fossi in una grande famiglia (siamo all’incirca 15 persone) che mi ha fatto riscoprire l’importanza di condividere alcuni momenti della giornata che, nella frenesia alla quale ero abituata, avevo perso. E ho capito di quanti pregiudizi, o meglio, stereotipi, spesso siamo invasi e di quanto utile sia sempre il rapportarsi agli altri con una predisposizione positiva.
Le persone con cui lavoro? Ancora meglio,gli occhi dei bambini e quelle parole che spesso, anche se non comprese, ti lanciano dei messaggi incredibilmente belli ricordano tanto il linguaggio unico dell’Amore e del rispetto per ogni forma di essere umano che ci attornia.
Avrei mille cose da scrivere, ma per adesso mi piacerebbe condividere con voi le mie prime riflessioni:
“Mi piace molto l’immagine della vita come una strada infinita dove ogni singola pietra per quanto dura possa essere ha un motivo per trovarsi lì. Ad ognuno di noi la scelta se prenderla a calci o metterla in tasca come un ricordo che peserà per sempre.
Il mettersi in gioco con la consapevolezza di poter perdere il terreno è la testimonianza di una volontà interiore di crescere e rapportarsi agli altri in modo costruttivo, è la consapevolezza di non essere completi. Scoprire nelle circostanze che ci inseguono e ci chiamano ad agire la possibilità di poter rappresentare una piccola goccia è un elemento essenziale per poter proseguire serenamente il nostro percorso. I gesti, le facce, gli sguardi, le voci che sembrano svanire nel momento in cui si vivono ricompaiono per prendere forma a trasformarsi in una presenza quasi necessaria.
Non è tanto la coscienza della differenza quanto la sua accettazione come fonte di nutrimento per la nostra fame di vita che bisognerebbe accentuare, scoprire nuovi sapori e saperli discernere.
Vivendo consapevoli di questo scopriamo un certo sapore di passato che ci induce a riguardarci indietro e ad essere testimoni di quante volte abbiamo schivato la pietra o fatto finta di non vederla mentre adesso la nostra anima è quasi affamata di esse e quasi tenta la strada del ritorno.
Di queste sensazioni sto saziando la mia Fame e mi rendo conto di quanto forza sia necessaria per poter accettare il fatto di essere utili ma non indispensabili e soprattutto la capacità di saper accettare e non sempre e solo cercare di donare.
Durante il primo mese di soggiorno in questo Paese che ancora mi appare come irreale ho posto queste prime fondamenta assumendo quasi l’atteggiamento del “fanciullino” che ognuno di noi tiene dentro e stupendomi di tutto quello che giornalmente incontro. La possibilità di poter liberamente e quasi involontariamente dare mi ha fatto capire quanto nel nostro piccolo possiamo recare un attimo di gioia alle persone che ci stanno attorno. Osservare e saper discernere cosa dipende da noi e cosa dalla circostanze esterne senza porsi criticamente né tanto meno obbligarsi ad accettare è la base essenziale per poter assumersi le responsabilità di fronte agli altri e a se stessi.
La ricchezza e l’intensità dei momenti che sto vivendo con me stessa e il relazionarmi ancora una volta a qualcosa a me fino ad ora estraneo sta alimentando la già posseduta fiducia nella bellezza del dono della vita in tutte le sue sfumature”
Con questi pensieri ho iniziato un’esperienza che durerà un anno ma che in realtà sono sicura mi accompagnerà per tutta la vita.
A presto

Angela Patanè