Da Serena Togo, volontaria VIDES in Atamisqui

07/01/10

volontari16_1Ciao a tutti! Felice Festa dell’Epifania!
Ieri sera ero indecisa, non sapevo se appendere la calza da qualche parte (non ci sono camini qui) o se preparare acqua e erba per i cammelli dei Re Magi. Che dilemma! Va bene che ora sto in Argentina peró le vecchie sane tradizioni italiane vanno rispettate… Il problema é che con il caldo che fa ho messo in valigia solo calzini corti… Cosí alla fine niente calza appesa peró ho iniziato a pensare… Quali sono i doni piú preziosi che vorrei trovare nella mia calza? Mi sono resa conto che in realtá (dolci a parte) i regali piú belli li ricevo ogni giorno e li tengo sempre con me. Sono la prova tangibile che Gesú in ogni istante si manifesta all’uomo e gli dice “Sono qui, accanto a te. Perché non mi vedi? Perché non mi riconosci?”. Questi doni ve li voglio condividere con qualche foto… Sono molti di piú di quelli che appaiono ma vorrei condividere con voi quello che per me é il senso autentico del mio stare qui… Riscoprire in ogni volto quel Gesú incarnato che ogni giorno da piú di duemila anni non si stanca di dirmi, di dirci… “Sono qui. Sono con te. E ti Amo”. Metto nelle vostre calze questi volti pieni di gioia, di tenerezza, di sofferenza, di speranza, di pace, segni dell’autentico e gratuito Amore di Dio per tutti gli uomini. Con la Hermana Rosita vi voglio augurare di poter vivere questo nuovo anno con gioia e pace… La vera autentica pace di un cuore aperto, attento, accogliente. Felice Anno Nuovo!
Perdonatemi l’italiano pessimo mi sa che dovró iscrivermi a qualche corso on line per non fare brutta figura.

Nella grande e sconfinata Argentina, nel nord caldo e desertico del Paese, fra cactus, rovi e terra arida, esiste un piccolo villaggio di circa quattromila abitanti, “metido en el monte, perdido en el medio de la nada”. Cosí lo definisce la gente, tanto é isolato “sperduto in mezzo al nulla”. Questo villaggio si chiama Villa Atamisqui ed é il centro piu popolato di una divisione (possiamo chiamarla contea) della provincia di Santiago del Estero dove é situato che porta il suo stesso nome, Atamisqui.
Quattromila abitanti vivono nel villaggio e altri cinquemila vivono in piccoli gruppi di case distribuiti per tutto il territorio del “departamento”, ossia la contea.
Mai mi sarei immaginata che, dalla grande e caotica Milano, avrei viaggiato fino a raggiungere queste terre che sembrano lo scenario di un film e mai avrei immaginato di poter vivere con famiglie che, ancora oggi, sopportano una situazione di povertá e di indigenza come negli anni della fondazione del villaggio, nel XVI secolo. Atamisqui é infatti la prima fondazione spagnola in Argentina dei “Conquistadores” che attraverso il Cammino Reale hanno colonizzato tutto il paese con tutte le conseguenze che possiamo immaginare. Ed ora eccomi qui, al mio quarto viaggio atamisqueño, in questi giorni di grande calore (ha raggiunto i 56 gradi) in cui abbiamo salutato l’anno vecchio e abbiamo accolto un nuovo anno con la speranza che sia migliore e mi domando…Queste famiglie, in cosa potranno mai sperare?
Sono arrivata qui alla fine di maggio e, si Dios quiere, se Dio vuole come dicono qui, rimarró fino alla fine di agosto. Un tempo lungo, un Dono di Dio, che mi ha permesso di entrare non solo nelle case della gente come semplice visitatrice ma anche e soprattutto nelle loro famiglie come una figlia, una sorella, una nipote in piú per poter condividere sentimenti, speranze, sofferenze, per poter desiderare insieme una vita migliore, per poter guardare insieme al futuro e gioire con Fede della Provvidenza del Signore.
Quello atamisqueño é un popolo sofferente, frutto di un governo dittatoriale che per decenni gli ha tappato la bocca, cancellato l’autostima, annullato ogni traccia di fiducia nelle proprie possibilitá. Un popolo che vede sottrarsi la terra dai ricchi, che non ha lavoro, dimenticato dal governo che lo usa solo per ottenere voti e lo dimentica quando la fame, il freddo o le malattie si fanno sentire e reclamano vite.
Sono tanti i problemi che affliggono queste terre, la povertá si trasforma in indigenza e, dimenticandosi della dignitá umana, diventa un’abitudine o peggio, parte della stessa cultura del popolo.
Quando la mattina mi sveglio ed esco per iniziare le attivitá mi guardo intorno e mi domando…Io, cosí piccola di fronte a tutto questo, cosa mai potró fare?Poi mi ricordo di quello che diceva Madre Teresa…”Il bene che fai non é che una goccia nell’oceano…Ma se non fai il bene l’oceano avrá una goccia in meno”. Cosí confortata da queste parole mi rimbocco le maniche e con un sorriso comincio la mia giornata.
Ad Atamisqui vive una piccola comunitá di Figlie di Maria Ausiliatrice, le nostre Suore Salesiane. Sono tre e la Hermana Rosita (le Suore qui si chiamano Hermanas, cioé sorelle) é la direttrice della comunitá. Con lei svolgo la maggior parte delle attivitá sia nel pueblo, il villaggio sia nei dintorni che proprio dintorni non sono…Infatti con la nostra camioneta raggiungiamo case che distano cinquanta e piú chilometri dal centro percorrendo cammini orribili di sabbia, crateri preistorici e, se piove, molto molto fango.
Io sono il quarto membro della comunitá, la gente che non fa molta differenza fra Suore e volontari mi chiama Hermana Serena e questo mi diverte perché all’inizio con pazienza spiegavo che in realtá Hermana non sono…Un discorso di dieci minuti per poi sentirmi dire…Bene Hermana che bello che sei fra noi…Cosí ho abbandonato le spiegazioni…
Quest’anno il clima difficile del posto ha costretto due Hermanas a lasciare la comunitá cosí gli ultimi mesi dell’anno li abbiamo trascorsi insieme la Hermana Rosita e io, condividendo la missione con due sacerdoti. Abbiamo un doposcuola scolastico, ci occupiamo di Caritas, della catechesi nel pueblo e nei differenti paraggi, dell’oratorio nel campo, del gruppo missionario, delle visite alle famiglie e portiamo avanti insieme al Vides un progetto di sostegno a distanza. Inoltre, visti i grandi problemi causati dalla vendita illecita della terra, con l’Hermana Rosita che é avvocato assessoriamo la gente affinché non perda la casa e tutto quello che ha. Qui vivono discendenti delle antiche popolazioni aborigene che abitavano la provincia prima della colonizzazione cosí ho iniziato anche a formarmi riguardo a questo tema entrando a far parte dell’Ente Nazionale di Pastorale Aborigena. Che dire…Il tempo non basta mai ma tutto quello che facciamo lo facciamo e lo sentiamo come un onore e un privilegio perché queste persone soffrono molto e si meriterebbero molto, molto di piú. Vivono in baracche di fango, paglia e legno, senz’acqua, senza luce, con norme igieniche inesistenti. I bambini devono camminare chilometri per andare a scuola e molti abbandonano senza terminare gli studi. Qui si muore per malattie banali e, in alcune zone, la solitudine é tanta che negli ultimi mesi sono stati molti i casi di suicidio, soprattutto dei giovani.
Atamisqui non é l’unico luogo del mondo ad essere cosí povero, questo lo so bene, ma quando vedo come vive la gente é come se ricevessi un pugno in mezzo allo stomaco. Mi sento cosí piccola e insignificante di fronte a tanta povertá che molto spesso mi dico…Sere, non puoi fare nulla, tutto questo é troppo grande per te. Poi capita che un bambino mi sorrida e mi tenda la mano, cosí piccola che si perde nella mia o che un adulto semplicemente ponga i suoi occhi nei miei e mi dica “Grazie per stare qui” e mi rendo conto che la Provvidenza di Dio non manca mai, che sempre Dio guarda il cuore dell’uomo e sempre incontra il modo per sanarlo e confortarlo. Questa gente é gente dalla Fede grande e io non finisco mai di imparare da loro.
Quando lo sconforto si fa sentire penso ai miei tesori, ai bimbi, ai loro giochi, alle loro risa, ai loro occhi pieni di vita e ai loro pancini troppo spesso vuoti. Penso che per loro vale la pena stare qui, per le loro mamme che lottano per tirare avanti, per i loro padri che non sanno cosa dar loro da mangiare, per i giovani che non sanno piú sognare, per gli anziani che hanno smesso di sognare da tempo. Penso a tutti loro e sento che il mio posto é qui, in mezzo a loro. Sento che qui é la mia casa e che qui tutto ha un senso. Non é il senso di chi vuole scappare dalla propria realtá quotidiana, é la pace interiore che si sente quando si capisce che le proprie mani sono piene e che é tempo di offrire, non solo di ricevere. Sento che nella mia vita é iniziato un tempo nuovo. Tempo di essere, non solo di fare. Tempo di vivere, non solo di guardare. Tempo di credere, tempo di costruire…Tempo di Amare.
“Dios no deja infecundos los anhelos mas profundos”.

Serena Togo