Da Timor Est

25/01/07

Carissimi,
vi scrivo dopo 3 settimane circa dalla mia partenza dall’Italia. Prima di tutto vorrei ringraziare ciascuno di voi per l’interesse, l’affetto e la solidarietà spesso generosa con cui accompagnate la nostra missione in Timor. Mi lascia sempre con tanto stupore scoprire quante persone seguono le nostre attività e si fanno vicine con la loro presenza e la loro preghiera. Per questo vorrei che sentiste il mio grazie e quello di tutte le suore che condividono lo sforzo di far crescere la pace e far sentire la presenza di Dio a questo popolo; ma anche il grazie di bambini, ragazze e giovani che con il vostro sostegno possono pensare al loro futuro con un po’ più di serenità.
Il mio viaggio “di fine anno” è andato bene: nessun “bagordo” a Dubai, come qualcuno temeva! Nel bel mezzo del viavai dell’aeroporto è risuonato il classico “plin-plon” degli annunci dei supermercati, ed una voce femminile ha concisamente detto: “L’aeroporto di Dubai è lieto di augurarvi buon 2007”, plin-plon… ed è finito tutto! In compenso ho incontrato un gruppo di somali (una cinquantina circa), che da giorni erano in attesa che l’aeroporto di Mogadiscio venisse riaperto in modo da poter partire. Mangiavano e dormivano nell’aeroporto, era stata data loro una coperta e sembravano rassegnati all’attesa (e potete immaginarvi come erano trasandati e come erano le facce di coloro che passavano loro accanto per correre ai loro aerei!). Mi sembrava un “remake” dell’esperienza di Maria e Giuseppe: anche per un loro non c’era posto!
Invece da Bali a Dili ho viaggiato con un gruppo di poliziotti delle forze internazionali che venivano per la prima volta in Timor. Erano africani: alti, grossi e… neri! Era veramente impressionate l’effeto di questa quindicina di uomini quando sono scesi all’aeroporto e si sono avvicinati loro alcuni addetti dell’aeroporto, di media o piccola statura! Questo a riconferma che nonostante la pace apparente, che anch’io ho potuto vedere nel viaggio in auto da Dili a Venilale, la situazione è ancora lontano dall’essere tranquilla (soprattutto in capitale). È proprio di 2 giorni fa la notizia di un gruppo di giovani che si è scontrato con un gruppo di rifugiati in una zona della capitale, ed anche del rifiuto di molti rifugiati (o “dislocati”, come preferiscono chiamarli qui) di ritornare alle proprie case. A fine gennaio ci sarà un nuovo incontro organizzato dalla Diocesi di Baucau per riflettere sulla situazione e cercare delle vie praticabili perché la situazione torni alla normalità e si possano affrontare le elezioni in un clima di serenità e di rispetto.
La vita al di fuori della capitale, come già vi dicevo, è invece tranquilla: in alcune zone la scuola era già ricominciata, mentre in Venilale sia le orfane, come le nostre ragazze della scuola tecnica, hanno ricominciato effettivamente l’8. Ricominciare dopo le vacanze è abbastanza difficile (come da tutte le parti del resto!), in più, essendo già iniziato il periodo delle piogge, alla pigrizia si aggiungono le malattie. In clinica abbiamo una media di 60 persone a pomeriggio, ma se aggiungiamo le ragazze della scuola, le orfane e i seminaristi che “compaiono” a tutte le ore, la media può salire fino a 80!! Sono rientrata giusto in tempo, direte voi! E la situazione mi ha fatto ricordare una frase di Tagore, che si usava molto negli anni ’70 e più o meno dice così: “Pensavo che la vita fosse gioia, vidi che era servizio. Mi misi a servire e scoprii che era gioia!”
Al di là della citazione più o meno corretta, credo sia una buona descrizione dell’esperienza di questi giorni e questi contatti a volte molto, troppo rapidi a causa del numero di persone che attendono, mi fanno pensare che siano la giusta continuazione della festa di Natale: farsi con Dio, uno di loro, dimorare con loro per intuire e far intuire qualcosa dell’amore di Dio. È l’augurio che faccio a ciascuno di voi per gli incontri quotidiani di questo periodo e ancora una volta, vi dico grazie con tutto il cuore.