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La realtà delle insegnanti locali della scuola di Don Bosco di Mansa

Written by patrizia

Durante la mia esperienza in Africa con le Salesiane Don Bosco a Mansa, in Zambia, ho avuto la possibilità di conoscere da vicino la realtà di queste grandi donne che insegnano in questo contesto.

Winfridah e Gwen sono le due insegnanti che da subito mi hanno accolto alla scuola primaria di Mansa e con loro ho condiviso la mia quotidianità prestando servizio proprio nelle loro classi con i bambini dai 6 ai 9 anni.
Ognuna di loro mi ha dato la possibilità di conoscere in modo più approfondito la loro vita da mamme, moglie e insegnanti. Ciò che di più mi ha colpito parlando con loro, è stato il loro legame autentico con la vita, nonostante avessero pochissime comodità, nonostante problemi e mancanze del contesto in cui vivono, ho sempre percepito una gioia profonda, un forte legame con ciò che nella vita è essenziale; il loro sorriso costante è uno di quei sensori che fanno comprendere quanto siano libere da tutto ciò che è materiale e superfluo.
Prima di iniziare la mia esperienza, credevo di trovare un approccio educativo differente dal nostro, avevo un po’ paura che usassero maniere un po’ più rigide, e invece non è stato affatto così, almeno nella realtà e nel contesto che ho conosciuto io.

Winfridah è un insegnante tranquilla, dolce, sempre pacata con i suoi alunni, sorridente. Spesso sottolineava la fortuna di aver avuto dei genitori che l’hanno aiutata negli studi per poter diventare insegnante, e ho notato come lei fosse tanto riconoscente di tutto questo. Cosa che noi spesso diamo per scontato, l’aiuto da parte dei genitori: per noi è quasi la regola nella maggior parte dei casi, lì invece non è sempre così scontato.
Con Gwen invece non ho avuto modo di approfondire la sua storia, era nella classe a fianco a quella in cui prestavo servizio con Winfridah; ma anche nel suo caso, mi ha meravigliato di come quelle persone fossero così serene, nonostante avessero poco.
Spesso mi dicevano che nella vita non conta ciò che hai, la macchina, la casa in cui vivi, le comodità, ma conta l’amore che metti in ciò che fai e verso chi sei chiamato a prenderti cura, come loro tutt’oggi fanno con quei bambini che di riflesso, vivevano delle lezioni armoniose e tranquille.

Non ho mai visto un bambino particolarmente agitato, o fare i capricci. Sarà forse che crescono in responsabilità già da molto piccoli, poiché quasi nessuno vive in condizioni chissà quanto agiate, e questo mi ha fatto comprendere che da una parte di sicuro questo può agitarti, ma dall’altra può in alcuni casi aiutarti a crescere in modo sano e responsabile.
Ricordo un bambino in particolare, Bakari, l’unico forse un po’ ribelle; chiesi alle insegnanti come mai fosse sempre così iperattivo e mi dissero che viveva con la nonna, dei genitori non sapevano nulla ed era così allegro e vivace perché stando sempre con la nonna e non avendo fratelli, fuoriusciva tutta la sua vivacità a scuola che magari a casa non poteva esprimere del tutto. Infatti l’ultimo giorno di scuola, quando decisero di chiudere la struttura a causa prevenzione Covid-19, ricordo che era annoiato, triste e spento rispetto al solito. La scuola per lui è soprattutto un modo per giocare e relazionarsi con gli altri bambini, ed era triste all’idea di dover stare giornate intere con la nonna… mi fece una tenerezza infinita.
Un altro evento che mi ha sorpresa fu la scena di una bambina che doveva andarsene un po’ prima che la lezione finisse: venne a prenderla la sorella più grande, in quanto orfane entrambe, e mi stupì come il suo compagno di banco si alzò a prenderle lo zainetto con una gentilezza e cordialità già a 7 anni; questo davvero mi è rimasto impresso.
Il sapersi prendere cura di chi è accanto con quei piccoli gesti che possono fare la differenza: ecco come loro riescono a valorizzare le persone che incontrano ogni giorno. Ciò che è prezioso per loro è proprio questo, la relazione con l’altro, il prendersi cura di quel poco che può essere tutto.
Ho capito come il fatto di possedere poco o nulla permette di farti guardare meglio l’altro, permette di darti libertà, di non voler prevalere sull’altro o di agire per proprio tornaconto personale: si comportavano sempre come se fossero un unico corpo. Questo loro modo di guardare e ascoltare la vita mi ha colpito più di ogni cosa.

Poi c’è Emma, che insegnava alla scuola secondaria: è tra le insegnanti più giovani, ha 28 anni, quasi mia coetanea. Con lei  ho legato molto, era il giorno della festa della donna quando la conobbi. Giorno in cui tutte le insegnanti insieme alle suore organizzarono per l’occasione una piccola festa locale, in cui ognuna di loro diceva la sua opinione sull’importanza del valore della donna, sia in famiglia che nella società e di quanto questa dovrebbe essere ancora più valorizzata, il tutto accompagnato a ritmo di tamburo. Fu davvero divertente e autentico per me tenere parte ad una festa per loro così importante.
E’ qui che legai particolarmente con Emma, fresca sposa e con un bimbo bellissimo di nemmeno un anno. Anche lei mi testimoniava di essere felice. Diceva di riconoscere che aveva dalla vita tutto quello che si può desiderare, una famiglia unita e piena di calore.
Lei era in tirocinio alla scuola di Don Bosco nel periodo in cui io ho prestato servizio. Era all’inizio, quindi anche lei stava cominciando ad ambientarsi e trovai così un’altra compagna di viaggio grazie alla quale feci in fretta ad integrarmi.

Ora che sono rientrata in Italia, sono ancora in contatto con loro ed è bello sentirsi, nonostante le distanze e le realtà di vita così diverse. E’ bello sapere che a prescindere dal colore di pelle, dalla cultura, dallo stile di vita differente, si può instaurare un rapporto così prezioso, basato sull’avere in comune gli stessi valori e vivere quelle diversità non come una minaccia, ma come un reciproco arricchimento.

Antonella Di Pietro

 

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