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A nossa professora

Written by patrizia

Oggi festeggiamo sei mesi precisi dal nostro arrivo a Luena. Sei mesi di ricerche, studio, lavoro e realizzazione; sei mesi di incontri, amicizie, sorprese e quotidianità; e infine, sei mesi di scuola. Non dobbiamo mai scordarci, infatti, che il nostro terreno esperienziale, la nostra palestra di vita, il contesto quotidiano dove si inserisce il nostro lavoro e dove si forgia il nostro ruolo è proprio la scuola, la scuola in Angola. È importante avere un chi e un cosa, soprattutto in un contesto estraneo dove le persone che incontri (bambini e adulti) hanno bisogno di individuarti, studiarti e renderti addomesticabile.
Prima di disegnare la nostra scuola e il nostro essere as professoras, è necessaria una mappa generale che tracci il contesto nazionale nel quale ci troviamo.

Cos’è la scuola in Angola?
Il sistema scolastico in Angola è diviso in tre categorie:
1. l’Ordine scolastico normale, il quale include ensino primario – corrispondente all’incirca alle scuole elementari- e ensino medio, che si divide in 1° e 2° ciclo – corrispondente alle scuole medie e superiori;
2. le classi di alfabetização che offrono alfabetizzazione di base per tutti coloro che non rientrino ancora nell’ordine scolastico normale; possono essere sia bambini che hanno perso i primi anni di scolarizzazione e devono entrare nelle classi successive, sia adulti che non sono mai andati a scuola. Nello specifico per gli adulti, ovvero per chi abbia superato i 14 anni, esiste un preciso programma scolastico, l’ensino dos adultos – istruzione degli adulti -, il quale si divide in accelerazione scolastica, P.A.E., programa de aceleração escolar, durante il quale gli studenti frequentano tre anni, che equivalgono a sei anni nell’ordine scolastico normale, ovvero le scuole elementari; e altri tre anni, che corrispondono alle scuole medie;
3. infine, esistono le scuole denominate escolas do ensino especial per studenti che manifestano un qualche tipo di disabilità.
Al di là delle scuole private, in Angola esistono scuole pubbliche e scuole semi pubbliche gestite da terzi – per esempio istituzioni religiose, etc.- chiamate scuole compartecipate, laddove è richiesto un contributo – una tassa di iscrizione – da parte degli alunni.
È doveroso sottolineare che le scuole pubbliche, nonostante sulla carta debbano essere completamente gratuite, non sono esonerate dal contributo economico degli alunni, che tutti gli anni pagano una o più tasse per far fronte a richieste più o meno specificate dall’istituzione scuola. Il Governo, secondo le norme vigenti, si prende carico il fornire i libri di testo per i bambini che frequentino il ciclo primario, tuttavia la ricezione di tali testi non risulta sempre gratuita.

Il complesso scolastico CEMA, Centro Educativo Maria Auxiliadora, nel quale lavoriamo, è una scuola compartecipata. Esso è situato appena fuori dal centro della città di Luena e conta all’incirca 1700 alunni fra bambini, adolescenti e giovani; è stato fondato da alcune suore salesiane in missione nel 2004 grazie a una raccolta fondi promossa dalla congregazione Salesiana FMA. La direttrice attuale, che collabora con un amministratore laico, è Suor Eurídice Felisberta Nsamba Filipe. Gli alunni sono organizzati in due turni che si alternano: le primarie fanno lezione la mattina mentre le secondarie il pomeriggio (i bambini dell’infanzia frequentano una succursale nella città). Chi termina l’ultimo ciclo di studi in questa scuola consegue un diploma che permette di diventare insegnante delle primarie o delle secondarie, a seconda del corso intrapreso gli ultimi anni.
Il CEMA oltre a garantire un ciclo ordinario scolastico completo, ovvero tutte le classi dalla scuola dell’infanzia al diploma, offre ulteriori corsi di sostegno e affiancamento scolastico perlopiù gratuiti, che si svolgono il pomeriggio, per offrire un aiuto ai bambini che ne hanno più bisogno soprattutto nella fase dell’apprendimento di base – lettura e scrittura. Molto spesso i beneficiari dei corsi sono bambini a cui manca un sostegno familiare. Bisogna, inoltre, sottolineare che le normali classi, secondo una prospettiva europea, sono sovraffollate – circa dai 30 ai 50 bambini – e questo comporta una ulteriore difficoltà per i professori nel seguire ciascun alunno. A tal proposito, dobbiamo confessare che tali difficoltà non sono manifestamente percepite come problematiche, dal momento che i criteri pedagogici in vigore non sono perfettamente conformi a quelli europei, visti l’esigenze del territorio, la domanda d’istruzione, i numeri e la formazione di base dei professori.
I corsi pomeridiani sono frequentati anche da bambine, che non sono ancora iscritte al CEMA, di età compresa fra gli 8 e 14 anni, le quali o non hanno mai frequentato la scuola, o provengono da realtà scolastiche altamente deficitarie. Tali corsi sono organizzati in lezioni di prima alfabetizzazione volte all’inserimento, previsto per l’anno successivo, nel ciclo normale scolastico. Queste bambine rientrano in un preciso progetto di alfabetizzazione femminile e inserimento scolastico che finanzia la professoressa di alfabetizzazione e la somministrazione giornaliera del pranzo – organizzato nell’ambito dell’istituzione salesiana – altro dai progetti di alfabetizzazione previsti dallo Stato, troppo spesso inefficienti e incostanti. Tali attività consistono in un sostegno alla difesa del diritto all’istruzione e alle pari opportunità. Anche in questo caso stiamo parlando di beneficiarie che manifestano una mancanza di attenzione familiare e l’assenza dell’autorità responsabile. È un progetto al femminile perché si rilevano grandi disparità di genere fin dalla tenera età e laddove l’attenzione familiare è deficitaria per i bambini, è completamente assente per le bambine, le quali troppo spesso sono destinate unicamente alla cura dei fratellini e ai servizi di casa.

Cosa significa essere professora?
Fin da subito siamo state inserite nelle attività di sostegno e inserimento scolastico, affiancando prima l’insegnante e in seguito, dopo aver acquisito una maggiore padronanza della lingua, occupandoci del corso di inserimento scolastico. Abbiamo quindi consolidato le capacità di lettura e scrittura di base apprese nella prima fase dei corsi e introdotto l’insegnamento di matematica e scienze, per una maggiore integrazione con i programmi ministeriali previsti per gli anni successivi. Nonostante le difficoltà riscontrate con l’insegnante che abbiamo affiancato il primo trimestre, la quale ha manifestato chiusura e diffidenza e con la quale abbiamo più volte affrontato divergenze e scontri riguardo i suoi metodi pedagogici; nonostante le distanze culturali e linguistiche che con fatica abbiamo percorso e continuiamo a percorrere quotidianamente per avvicinarci alle bambine; e nonostante le nostre inesperienze professionali e umane che spesso ci spiazzano, siamo profondamente convinte che questa rappresenti l’attività più coinvolgente, sia dal punto di vista professionale sia dal punto di vista umano, del nostro progetto.
Ci siamo trovate a fare le insegnanti senza chiederlo o saperlo fare, senza immaginare cosa significasse, perché in fondo quando una persona sceglie di imbarcarsi in un’avventura del genere non sa mai dove possa arrivare: non ci sono dei reali obiettivi preimpostati – o comunque questi passano necessariamente in secondo piano -, esistono delle circostanze che determinano il proprio essere lì. La vera sfida è quella di reinventarsi, immaginare, studiare, osservare, provare e poi ancora riprovare. Non nascondiamo i momenti di frustrazione, di impotenza e di sensazione di totale inadeguatezza che solo i bambini possono generare. Non nascondiamo neanche alcune lacrime di tristezza e di esasperazione che abbiamo versato. Tutti “piccoli” dolori che evaporano in un istante quando una vocina ti chiama: a NOSSA professora.
Nel volto di queste meninas abbiamo riconosciuto il grido di attenzione che ogni bambino rivolge al mondo ma che non sempre è ascoltato; con loro, abbiamo testato la fatica che nasce dall’incomprensione e dall’atteggiamento di sfida che le bambine sono abituate a mostrare come esame di autorità, abbiamo assaporato l’esplosione di gioia quando scorgiamo in loro anche il più piccolo miglioramento; abbiamo scoperto l’importanza della pazienza e del tempo dedicato gratuitamente; e, infine, abbiamo imparato quanto costa la responsabilità della fiducia che hanno riposto in noi senza difese – perché i bambini, alla fine, vogliono solo potersi fidare.
In altre parole, abbiamo scoperto la differenza fra fare e essere insegnante: fare l’insegnante può significare toccare una vita per sempre; essere insegnante significa lasciarsi toccare la vita per sempre. Se, infatti, abbiamo tentato di entrare nelle loro vite, il più possibile, in punta di piedi – e non sappiamo fino a che punto ci siamo riuscite -, di certo loro sono entrate nelle nostre come elefanti in una cristalleria, radendo al suolo tutte le certezze arroganti che ci affollavano e facendosi spazio, perché le vite degli altri hanno sempre bisogno di spazio, e quelle dei bambini ne esigono ancora di più: loro entrano con quella violenza infantile che, in fondo, non è altro che l’irruenza spontanea e libera della vita stessa.

Luena, 14 ottobre 2019

Benedetta e Raffaella

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