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Irmã Didí

Written by patrizia

È stato difficile comprendere le dinamiche di convivenza, le strutture di potere e le relazioni che legano e informano la vita all’interno di una comunità religiosa e in particolare di una comunità Salesiana. È stato difficile trovare le parole giuste in portoghese e le forme adeguate per interagire e mostrare le mie debolezze, le mie frustrazioni e le mie idee. E ancor di più è stato difficile comprendere una vita votata, una vita dedicata alla fede e alla comunità. Ma d’altronde, certe cose non si spiegano, certe cose le puoi osservare, ti ci puoi avvicinare, le puoi interrogare, con delicatezza e con curiosità, ma non le puoi afferrare fino infondo, perché la fede e la devozione non si spiegano, si vivono come l’amore, la disperazione e l’abbandono. Eppure la vita ha creato incontri strani, improbabili, ha mischiato le carte e fatto nascere delle sfide interessanti. La mia traiettoria si è incrociata con quella di una donna, una professoressa, una diretora e una suora: Suor Eurídice Felisberta Nsamba Filipe, più semplicemente Irma Didì. Poco più di quarant’anni, una donna forte, intelligente, allegra, ironica, sensibile e franca, la sua vita votata a Dio. Originaria di Luanda, ha vissuto e studiato in Italia per 6 anni; dottoressa in psicologia è tornata in Angola, ora professoressa di psicologia e pedagogia, direttrice di una scuola che conta più di 1.600 alunni e circa 90 collaboratori tra professori, tirocinanti e assistenti, e madre superiora della comunità FMA di Luena.

Con lei ho lavorato e soprattutto vissuto insieme, e, nonostante le differenze spirituali, culturali, nonostante le divergenze di pensiero, le difficoltà comunicative, con perseveranza e fiducia abbiamo trovato congiuntamente il punto di contatto, il terreno comune attraverso il quale comunicare e incontrarsi. Nel suo lavoro quotidiano ho riconosciuto un grande senso di umanità e di responsabilità verso una società che ha bisogno dedizione; ho riconosciuto lo sforzo proattivo nei confronti delle nuove generazioni che necessitano di coscienza etica, sostegno e speranza nel futuro; ho riconosciuto un’intelligenza che sa di problematiche profonde e difficili da affrontare; e, infine, ho riconosciuto, la sensibilità di chi sa osservare e di chi ricorda il nome, la storia e la vita delle persone che incontra e di cui si prende cura. Osservando tutto ciò e pesando la lotta quotidiana che necessita un buon lavoro e una buona organizzazione in condizioni socio-politiche aspre e sabbiose, sono riuscita a spiegarmi anche la durezza di alcuni suoi atteggiamenti e la sua rigidità per norme che non comprendevo.

Ci incontriamo nel suo ufficio per discutere e tirare le somme di questi otto mesi. Entriamo, e come al solito la troviamo immersa fra fogli, documenti, lettere e certificati. Nel suo ufficio spiccano alcune foto e i colori di scatole decorate e lavori artistici di bambini e ragazzi: un ufficio vissuto, in cui stranamente ci sente a proprio agio. È interessante parlare con lei perché è una donna intelligente e aperta, che non fa sconti e sa scherzare.   Ridendo ci confessa che la cosa che più l’ha sorpresa è stata la nostra tenacia, lo sforzo e la volontà che abbiamo mostrato nel rimanere – è stata una vittoria essere arrivate alla fine. Conosce le nostre difficoltà, ha intuito le nostre frustrazioni ma senza troppe cerimonie ha aspettato che ci prendessimo i nostri spazi, facessimo i nostri compromessi e comprendessimo il costo del rifiuto della sconfitta e dell’inesperienza. Quando siamo arrivati ha messo in chiaro alcune evidenti problematiche, tra cui la lingua, la nostra impreparazione e le nostre chiare differenze culturali – ma siete giovani e “aguenterete”.

Certo noi non eravamo le figure professionali che avevano sperato né tanto meno noi, in Italia, avevamo avuto abbastanza tempo e informazioni per avere un’idea generale di ciò che avremmo potuto incontrare. Insomma, un salto nel vuoto, un gioco d’azzardo che non ha risparmiato botte e ferite: nulla è stato come doveva essere, eppure alla fine non importa, perché è stato più di quello che potevo immaginare. Il prossimo anno Irmã Didí tornerà in Italia per il Capitolo Generale delle FMA. È un grande riconoscimento che mostra la stima che le suore della sua Ispettoria dimostrano nei suoi confronti. Le faccio i complimenti, ci promettiamo di incontrarci a Roma e la invito in Abruzzo, la mia terra. Lei ci aspetta in Angola. Ci ricorda che siamo rimaste troppo poco tempo – ora che avete imparato come muovervi e come inserirvi, già dovete andare via. Lo sappiamo e ci dispiace.  Ci salutiamo con un sorriso allegro, quattro risate leggere perché per lei è normale prendere, partire, costruire e lasciare, per poi ricominciare. La vita delle suore è così e Irmã Didí, con serenità, è pronta a lasciare tutto il suo lavoro, la sua comunità, tutti i frutti del suo sacrificio perché nulla le appartiene e dovunque è casa.

Luena, 2 dicembre 2019

                                                                                                                                             Raffaella Di Florio

 

 

 

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