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Da Don Bosco alle Figlie di Maria Ausiliatrice o Salesiane

Written by patrizia

È importante evidenziare ed analizzare alcune esperienze e scelte operate da Don Bosco e perseguite fino al giorno d’oggi grazie alla famiglia Salesiana: l’evoluzione delle sue opere e della comprensione di quali fossero i suoi destinatari, cosa intendeva per “gioventù abbandonata”, come rispondeva alle necessità dei giovani, come rispondeva con semplicità ai loro bisogni, l’insistenza per la povertà di vita e il lavoro instancabile.

Si tratta di un processo che coinvolge ogni gruppo della famiglia Salesiana che tutt’oggi opera in tante parti del mondo, per giungere ad una visione comune colta, professionale e profonda di Don Bosco, così da valorizzare quel patrimonio storico, pedagogico e spirituale. Un processo che favorendo la conoscenza della realtà giovanile, abbia chiaro il profilo del cristiano nella società.
Si tratta di rivedere istituzioni e strutture di aggregazione e di educazione, di rileggere il sistema preventivo in chiave di attualità e di presentare al mondo e alla chiesa, uno stile particolare di educatore Salesiano.

Cosa intende Don Bosco per “educare”?

“L’educazione è cosa di cuore”, affermava.
Educare è volere il vero bene del giovane e il primo passo è farselo amico, guadagnare il suo cuore. In una lettera famosa di don Bosco, scritta da Roma nel 1884 ai Salesiani, si legge: chi sa di essere amato, ama; e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani.
Per Don Bosco, l’educare è uno speciale atteggiamento fatto di procedimenti basato sulla ragione e sulla fede. Puntava soprattutto sulla responsabilità, sull’impegno e sull’aiuto verso il prossimo, il prendere davvero a cuore ogni ragazzo.
Il compito principale dell’educatore per Don Bosco è diffondere i valori del bene e ben definire gli obbiettivi da perseguire, i mezzi e gli obbiettivi da raggiungere.
La ragione invita i giovani ad un rapporto di partecipazione e alla conoscenza di valori, infatti per Don Bosco la ragionevolezza viene definita come quello spazio di ragione, consapevolezza e dialogo che trova appunto spazio nella parte razionale.
Nell’educazione, anche lo sport, lo svagarsi, l’attività fisica dei ragazzi a seconda delle diverse fasce d’età, per Don Bosco è fondamentale.
Inoltre, gli adolescenti devono essere trattati con amorevolezza dagli educatori. Gli educatori devono rapportarsi come “padri amorosi” così da fornire un buon esempio.
Contrario ad ogni tipo di castigo e punizione, la sua opera più importante è il “Sistema Preventivo nell’educazione della gioventù”.

Le suore Salesiane di Don Bosco a Mansa

Tanti sono oggi i salesiani, le suore, i sacerdoti, educatori e laici che permettono di realizzare il sogno missionario di Don Bosco. Uomini e donne di tutto il mondo, molti italiani, ma anche missionari che provengono da altri paesi europei, asiatici, dal continente americano e africano.
Durante la mia esperienza in Africa, ho avuto il grande dono di conoscere, di toccare con mano e di vedere questa realtà da vicino, grazie alle suore di Mansa, in Zambia, e altri sacerdoti del posto, che mi hanno da subito accolto nella loro struttura.
Spesso, sacerdoti e suore sono originari di terre di missione, e conoscono bene la realtà in cui diffondono la loro opera educativa e formativa, con grande attenzione a chi è più vulnerabile e agli ultimi.
Ho avuto tante occasioni per approfondire con loro questa scelta di vita e le loro risposte alle mie domande hanno avuto un grande impatto sulla mia vita.

Noi oggi siamo abituati diversamente.
Prima di fare una scelta, specie quella determinante per la nostra vita, vogliamo sapere, conoscere, ragionare se mi conviene o no, insomma avere chiare le idee prima di scegliere. E loro invece, mi hanno davvero sorpreso.
Mi dicevano che rispondere alla chiamata di Dio è un atto di fede e di amore. All’origine della vocazione missionaria c’è la fede, il fidarsi di Gesù che ancora chiama il giovane uomo o la giovane donna a seguirlo, a donare a Lui tutta la loro vita, per testimoniare e annunziare il Vangelo a tutti gli uomini e soprattutto in questo caso, ai giovani.
Ero tanto curiosa e loro mi hanno tolto ogni dubbio sulla loro scelta di vita, così autentica. All’inizio pensavo che una suora missionaria, così come un prete non ha le tante preoccupazioni che abbiamo noi: la famiglia, il denaro, la carriera, la casa, il futuro. E loro mi hanno confermato che non devono preoccuparsi di nulla, solo di innamorarsi di Cristo e poi testimoniare Gesù agli altri, specialmente ai più piccoli e poveri.
Non vanno in pensione, non hanno problemi di trovare un lavoro o di essere disoccupate, non devono pensare alla carriera, alla vecchiaia, e nemmeno alla salute. Tutta la loro vita è nelle mani di Dio.   

Durante la mia esperienza in questo paese africano, lo Zambia, e in particolare in questa missione a Mansa, a stretto contatto con le suore Salesiane, ricordo che il primo giorno una di loro, mi accompagnò nella visita al suo centro e alla sua gente e alla sera a cena le dissi: “La vostra missione qui in Africa sembra così difficile, alcune persone ancora così primitive, chissà quanto è difficile la vostra vita qui, in questo luogo così isolato”.
E lei mi rispose: “Ma che dici! Tu stai guardando solo l’aspetto materiale. Sì sono molto poveri, molti anche analfabeti, non hanno nessuna delle nostre comodità moderne e soprattutto quelle occidentali, ma tu sapessi quante qualità umane hanno! Sono cordiali, gentili e riconoscenti. Noi qui stiamo benissimo e ringraziamo spesso il Signore perché ti assicuro che sono più felice ad essere qui nel profondo dell’Africa, che quando per un periodo sono stata a Roma, in Italia”.
Io che soprattutto inizialmente faticavo un po’ ad integrarmi, le chiesi qualche consiglio, e con una fermezza impressionante mi disse: “La cosa più importante è sentirsi uno di loro. I popoli vanno accolti come sono e non ci si deve mai meravigliare di nulla. Se c’è il rispetto delle persone, se si manifesta apprezzamento reciproco, simpatia, se c’è accettazione del loro modo di essere, se si dimostra di amare la gente in mezzo a cui siamo chiamati ad operare, la gratitudine non ti mancherà mai. Il segreto è apprezzare, rispettare e stai certa che quando fai il bene, sempre si riceve in contraccambio il bene compiuto.”
La ringraziai per quella testimonianza e pensai: queste suore ci credono davvero alla loro missione, si spendono totalmente, donando loro stesse per il loro popolo e il Signore le ricompensa dandogli tante gioie che io non riesco nemmeno ad immaginare.
E poi verificai e sperimentai proprio in quei giorni tutto quello che mi dissero i primi giorni che arrivai lì. Essere così felici e pieni di gioia, per il semplice donarsi agli altri, decentrandosi e liberandosi da inutili preoccupazioni e semplicemente vivendo e valorizzando al meglio quel tempo presente, lì in quel luogo così isolato e povero, quanto ricco di gioia e di grazia.

Antonella Di Pietro

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