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Improvvisarsi Maestra in Africa

Written by patrizia

Il mio tempo dedicato allo Zambia è stato inaspettatamente breve, ma colmo di ricchezza e di gioia. Quaranta giorni per l’esattezza.
Un tempo breve, ma sufficiente per comprendere, ammirare e accogliere, tutto quello che questa terra e soprattutto, quelle persone hanno da offrirti.
Prima di approfondire il contesto scolastico e la mia esperienza, mi sembra opportuno un’introduzione sul contesto generale di cui parliamo.

L’educazione in Zambia

L’istruzione è suddivisa in: primaria, obbligatoria e gratuita dai 6 ai 13 anni, ed istruzione secondaria che si articola in due cicli di due e tre anni.
Negli ultimi dieci anni sono stati compiuti passi importanti. La percentuale di popolazione analfabeta è scesa nel 2015 al 14,9%.
La durata media di scolarizzazione è di 6,9 anni a dimostrazione che la maggior parte della popolazione non riceve l’istruzione primaria. Nel 2015 erano 4 milioni gli studenti iscritti al sistema scolastico Zambiano, di cui 3 milioni all’istruzione primaria, 0.8 milioni a quella secondaria e solo 50 mila a quella universitaria.
Nonostante questi dati, nel 2012, 58 mila studenti della scuola primaria si trovavano al di fuori del sistema scolastico.
Nel paese dello Zambia lavorano circa 100 mila insegnanti di cui 65 mila negli istituti primari, numero insufficiente a garantire una buona educazione.
Nella provincia Settentrionale, Luwingu, e in quella di Luapula, Mansa, riscontriamo tassi di alfabetizzazione simili: quello maschile si attesta circa al 75%, mentre quello femminile crolla al di sotto del 50%.

In particolare, in Mansa (provincia di Luapula)

Nella provincia di Luapula, il grado di educazione scolastica è tra i più bassi del Paese, offrendo agli studenti un livello di preparazione piuttosto mediocre.
Il tasso di analfabetismo è in crescita anche a causa nel numero ridotto di insegnanti, appena 5800 per circa 312 mila studenti tra scuola primaria e secondaria.
Nella provincia di Luapula ci sono 697 istituti scolastici, 128 nel solo distretto di Mansa di cui 69 scuole primarie, 39 “Community School”, 5 scuole secondarie e 6 università.

Ma qual è il ruolo dell’Italia nei confronti dello sviluppo dell’istruzione nei paesi in via di sviluppo?

È interessante conoscere come la Cooperazione Italiana è impegnata nel sostenere iniziative volte a garantire l’offerta di servizi educativi inclusivi e di qualità, che riguardino tutti i livelli dell’istruzione, dalla “early scholarization” a quella primaria fino a quella universitaria e post-universitaria.
Alla base di questo concetto vi è in realtà un approccio che va oltre i muri della scuola per proiettarsi in una dimensione sociale volta allo sviluppo integrale della persona e a quello dell’intera comunità di appartenenza.
La scuola, oltre a fornire un’istruzione adeguata, costituisce infatti un mezzo per realizzare l’inclusione delle fasce sociali maggiormente svantaggiate e per supportare i processi di democratizzazione e di peace building.
All’interno delle varie iniziative promosse e finanziate dall’Italia, è data chiaramente particolare attenzione alle categorie a maggior rischio di esclusione come le bambine, le adolescenti e gli studenti con disabilità.
L’obbiettivo è rafforzare l’impegno nel campo dell’istruzione tecnica e della formazione professionale, per formare giovani capaci di rispondere alla domanda di specializzazione del mercato del lavoro e in quello dell’alta formazione.
L’Italia ha acquisito grandi capacità nel promuovere collaborazioni universitarie e ospita, ad esempio a Trieste e a Bari, centri di eccellenza che offrono a studenti e ricercatori di Paesi in via di sviluppo l’accesso a scienza, innovazione e tecnologia.
È inoltre impegnata ad assicurare che gli studenti acquisiscano conoscenze e competenze volte a promuovere lo sviluppo sostenibile attraverso l’educazione, stili di vita sostenibili, il rispetto dei diritti umani, la promozione di una cultura di pace e di non violenza, la cittadinanza globale e la valorizzazione della diversità culturale e del contributo della cultura allo sviluppo.

Il mio contesto d’intervento: Centro delle Suore Salesiane: St. John Bosco Center (Centro Don Bosco)

Il centro Don Bosco nel quale ho prestato servizio fa riferimento alla Missione delle Suore Salesiane presso la località di Mansa, ed è stata fondata nel 1996.
Ho davvero ammirato la determinazione, la volontà, l’impegno e soprattutto la disponibilità totale alla propria vocazione di queste Suore, grazie alla loro istituzione, in una delle aree più povere della città, questa scuola comunitaria (Community School) aperta solo a bambini e ragazzi privi del livello minimo di alfabetizzazione o a studenti che, per scelta o necessità, avevano abbandonato il percorso di studi ed erano desiderosi di riprenderlo.
Oggi il numero di studenti che frequenta l’istituto è di gran lunga aumentato: ai corsi di scuola primaria sono iscritti 585 studenti (dal grado I a IX, ciclo completo) mentre in quelli della materna sono 85. Sono in aggiunta circa 30 i ragazzi che frequentano corsi di prima alfabetizzazione che poi permetteranno l’ingresso ai regolari grandi di scuola primaria.
Oltre all’educazione formale, l’avvio di un centro giovanile ha permesso alle suore Salesiane di operare anche attraverso lo strumento dell’educazione non formale, infatti giornalmente circa 250 tra ragazzi e ragazze frequentano il centro giovanile ai quali si sommano altri 150 giovani della Parrocchia che ricevono sostegno ed assistenza dalle Suore Salesiane. La realizzazione all’interno del centro di giochi e attività ludico-ricreative garantisce lo sviluppo olistico dei ragazzi in un luogo sicuro e protetto.

Improvvisarsi insegnante ed educatrice

Ci vuole quasi una giornata intera per percorrere quei 10.000 km che separano l’Italia dallo Zambia. Ma prima di percorrere tutti quei chilometri, credo debba nascere in te una semplice ma importantissima idea: sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo. L’idea di volersi adoperare per gli altri, di rendere il posto in cui vivi o comunque in cui presti servizio migliore di come l’hai trovato.
È stato strano all’inizio dovermi adattare alle docce fredde o all’assenza di elettricità, per me che sono nata e cresciuta in un paese industrializzato, che sono abituata a schiacciare un pulsante per avere un po’ di elettricità, che posso permettermi l’antibiotico se mi viene la bronchite, che pago un taxi 15 euro anziché 50 centesimi.
Per i miei alunni della scuola primaria, bambini da 6 ai 10 anni con gli occhi grandi e curiosi, ero io la strana, ero io quella diversa. Quella che aveva sempre lo zainetto pieno di matite, pastelli e pennarelli.
Già dai primi giorni in cui iniziai servizio presso la scuola, le suore mi spiegarono di quanto i volontari siano una risorsa preziosa per la scuola, e soprattutto per contribuire a renderla migliore.
Le insegnanti da subito mi chiesero dei suggerimenti su come rendere le lezioni più coinvolgenti e su come migliorare i processi di apprendimento dei bambini. Mi sono sentita subito parte di quella grande famiglia e mi iniziai a rendere conto che ero io che mi sentivo diversa, era la mia proiezione, ma in realtà mai mi hanno fatto sentire strana o lontana da loro.
A Mansa la gente, compresi i bambini si muovono a piedi. Di treni non ce ne sono, così come non ci sono autobus. Ricordo che i bambini arrivavano in classe sempre sudati per i chilometri fatti sotto al sole, o tutti bagnati per i grandi acquazzoni che di tanto in tanto si scatenavano. Quasi nessuno poteva permettersi un ombrello.
Mi ha stupito molto di quanto la religione cristiana abbia un ruolo fondamentale all’interno della comunità, erano tutti come se fossero una grande famiglia, questo è quello che mi ha colpito di più, sembravano essere sempre un unico corpo che si muoveva insieme, o tutti o nessuno perché senza di te non si può fare, ti facevano sentire un pezzo indispensabile e unico.
La gente era sempre pacata e tranquilla, e soprattutto curiosa di conoscermi, volevano sapere tutto di me, della mia famiglia, del luogo dal quale provenivo, di cosa avevo studiato e in quei momenti mi sentivo sempre molto fortunata, la loro espressione era come se volesse dire “che bella vita che dovrà essere la tua!”.
Eppure a me sembrava essere più bella la loro, perché libera da schiavitù e da preconcetti di cui noi occidentali siamo così dipendenti.
E così mi sono dovuta improvvisare Maestra alla scuola primaria; credevo di non esserne in grado, in quanto non avevo alcuna competenza al riguardo e invece, mi sono sempre sentita utile, gli insegnanti mi facevano sentire parte del corpo docenti, e sono riuscita a valorizzare quelle poche idee che mi venivano al meglio e a mettere in campo quelle uniche risorse che avevo organizzando recite, canti in lingua inglese e giochi di gruppo.
È stato per me unico riuscire ad arricchirsi vicendevolmente, per loro io davo tanto a quei bambini, ma in realtà io sento di aver avuto molto di più.
Credono di avere poco, e invece hanno tutto. Lealtà, semplicità, genuinità, allegria, leggerezza, docilità, accoglienza, e soprattutto umiltà.

Antonella, 05/08/2020

 

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