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Un albero di acacia

Written by patrizia

3 Agosto. Sveglia presto. Facciamo colazione insieme ad Albane e Dawid, i due volontari venuti a prenderci in macchina. Hanno già comprato pennelli e vernici. Raggiungiamo gli altri due ragazzi francesi, Benoît e Cyprien, e i quindici ragazzini del centro di accoglienza per ragazzi di strada, Lar Ana Jetu, che non stanno più nella pelle.

Oggi continuiamo l’attività iniziata ieri, dipingere due lati del muro di cinta del cortile, un tentativo divertente di rendere questa casa de “I Nostri Figli” (il  nome del centro tradotto dal Cokwe) un po’ più loro, un po’ più famiglia.

Ci imbrattiamo tutti, alcuni scappano qua e là, forse leggermente inebriati dall’odore della benzina che usiamo per lavarci le mani -e, come nel caso del piccolo António, anche la faccia- dalla vernice indelebile. Tanti colori, alcune domande e molti dubbi di geografia per i più piccoli che si perdono nelle tinte variopinte delle cartine riprodotte insieme sul muro; disegniamo i soggetti più disparati, tentando disperatamente di trovare un fil rouge che equilibri l’immensa confusione che regna ovunque. Qualcuno di loro cucina funje di miglio, pesce arrostito, del pollo bruciacchiato e gli immancabili fagioli mentre gli altri lavorano al murales, accompagnati dal ritmo allegro del batuque di Vivi.

Andiamo via alle prime luci del tramonto -chi li ha visti sa tra i più belli al mondo-, dopo aver lasciato le impronte di tutte le nostre mani: strane foglie di un albero di acacia, al centro di questa parete che continueremo presto a riempire di colori.

Benedetta e Raffaella

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